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convenzioni

Convenzioni e generi. Donna (o uomo) si nasce o si diventa?

Vera Tripodi
p. 39-57

Testo integrale

Non è detto che ogni essere femminile sia una donna. Donna non si nasce, lo si diventa.
Simone de Beauvoir, Il Secondo Sesso

1. Introduzione

1L’incredibile storia di Thomas Beatie, transessuale uomo ma con un sistema riproduttivo femminile, sembra mettere fortemente in discussione uno dei modi in cui convenzionalmente distinguiamo donne e uomini.

2Nato femmina, Thomas decide in età adulta di cambiare sesso e di sottoporsi a un intervento per la rimozione del seno e a una terapia ormonale. Volendo preservare il suo diritto a procreare e dato che la sterilizzazione non è un requisito fondamentale per la riassegnazione del sesso, Thomas stabilisce di non farsi asportare gli organi genitali. Viene dunque riconosciuto legalmente e socialmente come uomo e lo stato americano dell’Oregon in cui vive considera come valido il suo matrimonio con una donna. Dopo il matrimonio, Thomas e sua moglie Nancy desiderano un figlio, ma purtroppo Nancy è sterile. Così, Thomas sospende il trattamento con il testosterone nella speranza di avere una gravidanza. Dopo un’inseminazione artificiale effettuata tra le mura di casa dalla stessa Nancy con lo sperma di un donatore, Thomas dà alla luce nel giugno del 2008 con parto naturale una bambina e il suo viene riconosciuto come il primo caso al mondo di gravidanza maschile. Anche dopo l’esperienza del parto, Thomas ha continuato a definirsi uomo e ha intrapreso una battaglia legale affinché possa essere riconosciuto come il padre, e non la madre, della bambina nata.

3La storia di Thomas è un caso evidente di discordanza tra genere e sesso che solleva molte domande filosofiche. Cosa rende Thomas uomo? L’esperienza del parto e il fatto di avere ancora un apparato riproduttivo femminile dovrebbe portarci a riconsiderare la sua identità sessuale? Dovremmo forse rivolgerci alla biologia o appellarci alle scienze mediche per stabilire esattamente a quale genere egli appartenga? La comunità si sbaglia nel definirlo uomo quando dovrebbe piuttosto considerarlo donna?

4Di seguito si assumerà il caso di Thomas – pur nella sua radicalità – come esemplare del fatto che la distinzione tra “donna” e “uomo” non corrisponda a quella tra “femmina” e “maschio” e che il possesso di alcune caratteristiche biologiche da parte di un individuo (come per esempio il cromosoma XX o XY) non sia né necessario né sufficiente per la sua appartenenza a un genere. Nello specifico ciò che il caso di Thomas mostra è che: la sua funzione biologica di femmina non è sufficiente a definirlo donna e la sua appartenenza al genere “uomo” non ha nessun legame necessario con le sue caratteristiche sessuali. In altre parole, non solo il sesso non basta in generale a definire il genere ma non è neppure necessario essere femmina (o essere maschio) per essere donna (o essere uomo).

5Tuttavia, affermare di guardare oltre la biologia – come la storia di Thomas suggerisce a ragione di fare – non vuol dire che dobbiamo trascurare del tutto i dati che questa ci fornisce. Né si può negare che sia corretto definire un particolare individuo donna o uomo perché presenta una morfologia femminile o maschile. Anche se il sesso non dice cosa il genere propriamente sia, il fatto che la donna e l’uomo abbiano corpi con caratteristiche diverse rimane un dato essenziale che qui non si vuole certo contestare. I due sessi rappresentano, infatti, due diversi aspetti della vita di specie e la caratteristica sessuale può essere uno di quelli che prendiamo in considerazione quando ci riferiamo a un individuo come donna o come uomo. Pur non essendo l’unico legittimo, questo è di fatto uno dei modi riconosciuti per l’attribuzione di un genere.

6Quello che qui si vuole piuttosto sottolineare è che l’anatomia non può essere usata come base primaria per classificare gli individui in generi e che tale ripartizione non può essere soltanto una questione di biologia. Dobbiamo allora cercare di spiegare in che termini anche i dati della biologia entrano in parte in una definizione dei generi e come debbano essere letti alla luce dei diversi contesti sociali, come vedremo, in cui le convenzioni giocano un ruolo determinante.

7Scopo dell’articolo è pertanto mostrare che l’adozione di una posizione di tipo convenzionalista, secondo cui il genere è una costruzione sociale, sebbene sia più plausibile di quella puramente biologica non basta a fornire una spiegazione esaustiva delle differenze tra donne e uomini. Il convenzionalismo rispetto ai generi richiede un maggior supporto ontologico. Vedremo come questo supporto possa essere trovato in una teoria delle proprietà di stampo nominalista e, più precisamente, in una versione della teoria dei tropi. Iniziamo però con il considerare brevemente perché occorre tenere ben presente la distinzione tra sesso e genere.

2. Distinzione tra sesso e genere

2.1 Perché il genere non è il sesso

  • 1 Qui il riferimento è al femminismo di tradizione analitica. Vedi Mikkola 2008.
  • 2 Sulla terminologia del genere, si vedano: Stoller 1968; Rubin 1975; Nicholson 1994 e 1998; Mikkola (...)

8Quale tipo particolare di femmina (o di maschio) si realizzerebbe nella donna (o nell’uomo)? L’idea di collocare le radici del genere nel mondo naturale e di vincolarle al sesso è stata ampiamente criticata. In ambito femminista1, è comunemente accettata come valida la seguente distinzione2: il sesso divide gli esseri umani in femmine e maschi, mentre il genere li distingue in donne e uomini. Il termine “sesso” è strettamente connesso a fattori biologici (quali cromosomi, organi sessuali, ormoni, una determinata morfologia e altri aspetti legati al corpo); il termine “genere” invece dipende da fattori sociali (quali: ruoli e posizioni all’interno di una comunità, norme, relazioni). In altre parole, a differenza del sesso, il genere non è un dato biologico.

  • 3 Un esempio di questa corrente di pensiero è quello offerto a fine Ottocento da Geddes e Thompson 18 (...)
  • 4 de Beauvoir 1949: 112; tr. it.: 83.
  • 5 Si è sostenuto – per esempio – che i tratti psicologici e comportamentali sarebbero da ricondursi a (...)

9Storicamente, la distinzione tra sesso e genere fu introdotta principalmente per contrastare un certo determinismo biologico3, vale a dire l’idea che la “natura” fosse passivamente un “destino”4 per le donne. Secondo tale approccio, la distinzione tra donna e uomo è riducibile a quella tra femmina e maschio perché tale dicotomia rispecchia un modello esistente in natura5.

  • 6 Ghiselin 1974; Reinboth 1975; La Greca 1990; Mitchell, Mutchmor, Dolphin 1992; Sterelny e Griffiths (...)
  • 7 Per una discussione degli esempi citati in questo paragrafo rimando in particolare a Sterelny e Gri (...)
  • 8 Ciò accade tra i pesci (in particolare con le orate).
  • 9 In alcune specie di uccelli, l’inversione è opposta: prima si verifica la condizione femminile poi (...)
  • 10 Nel regno vegetale, l’ermafroditismo è presente, anche se in maniera meno diffusa che in quello ani (...)

10Tuttavia, come studi in biologia hanno dimostrato6, non è affatto semplice fornire una descrizione esaustiva della nozione di femmina e di maschio nel mondo animale né in quello vegetale. “Maschio” e “femmina” sono due tipi distinti definiti generalmente in riferimento al fenomeno della riproduzione. Tra gli animali e tra i vegetali però tale divisione non è sempre così chiara né sempre si realizza. In alcuni casi i due tipi non sono completamente distinti, in altri non è semplice discernere l’uno dall’altro, in altri ancora la distinzione è solo accennata (come per esempio nel caso di certi pesci)7. Inoltre, alcuni organismi possono cambiare sesso più di una volta durante il loro ciclo vitale (ermafroditismo e intersessualità), altri invece si presentano maschi da giovani per poi diventare femmine da adulti8 o l’inverso9 (inversione della sessualità). Pertanto, come la presenza di questi casi nel regno animale e vegetale10 dimostrano, non è naturale che un organismo vivente debba essere necessariamente femmina o maschio e che non possa essere entrambi. Dunque, la ripartizione femmina/maschio non può rispecchiare un modello naturale dato che questo in natura, a ben guardare, non sempre si dà.

  • 11 Fausto-Sterling individua cinque forme diverse di sesso. Per maggiori dettagli, vedi Fausto-Sterlin (...)

11Analogamente, la separazione tra maschi e femmine negli esseri umani non è sempre così chiara e i due tipi non sono sempre nettamente distinti. Anne Fausto-Sterling, per esempio, ritiene che tale distinzione non sia del tutto esaustiva. Infatti, l’1,7 per cento della popolazione mondiale non rientra in questa classificazione e presenta combinazioni di aspetti che solitamente riconosciamo come appartenenti o solo al sesso maschile o solo a quello femminile. È opportuno precisare che qui la questione non è semplicemente il fatto che sia riduttivo definire la femmina, per esempio, come “individuo dotato di cromosoma XX e portatrice di ovuli” o il maschio come “individuo dotato di cromosoma XY e portatore di spermatozoi”. Piuttosto, il punto è che il modello che riconosce solo due sessi non è sufficiente a rendere conto di tutte le differenze tra individui giacché vi sono stadi intermedi o diversi. È necessario pertanto introdurre altre forme di sesso11.

12Dunque, non esiste qualcosa come la “natura” delle donne o degli uomini; esistono “tipi” diversi di corpi umani e non c’è un unico modo per classificarli. Piuttosto, in natura ci sono più distinzioni di quelle riconoscute dalla tradizionale dicotomia femmina/maschio. Come conseguenza, data la difficoltà di stabilire un confine netto tra maschio e femmina, l’idea che il mondo contenga in sé “donne” e “uomini” come corrispondenti alla dicotomia femmine/maschi dovrebbe essere considerata audace nonché dubbia.

2.2 Perché il sesso non è sufficiente per l’appartenenza a un genere

  • 12 De Beauvoir 1949: 285; tr. it.: 271.
  • 13 Per un trattamento più dettagliato della posizione di de Beauvoir rimando a Butler 1986.
  • 14 In ciò, il pensiero femminista ha riconosciuto la causa della subordinazione degli individui di ses (...)

13In un testo divenuto classico, Simone de Beauvoir ha affermato: «donna non si nasce, piuttosto lo si diventa»12. Quest’affermazione, divenuta ormai pari a un slogan, riflette l’idea del genere come strettamente legato all’insieme di comportamenti, doveri, credenze, aspettative che un particolare gruppo culturale ritiene definisca la condizione della donna e quella dell’uomo. Secondo tale prospettiva13, appartenere a un genere significa in primo luogo appartenere a una comunità. “Essere donna” ed “essere uomo” risultano, pertanto, prodotti della cultura umana strettamente connessi alle dinamiche sociali in cui gli individui sono coinvolti. Se così, l’identità di genere si costruisce attraverso un lungo processo d’apprendimento14 in cui l’esperienza e i comportamenti di un singolo si articolano con l’esperienza e i comportamenti degli altri: nasciamo femmine (o maschi) ma le nostre pratiche sociali ci impongono di diventare donne (o uomini) e di interpretare, su questa base, ruoli differenti. Dunque, quello che appare come un fatto di natura è soltanto una determinazione, una costruzione concettuale.

14L’idea che il genere sia qualcosa che si acquisisce e a cui si viene “addestrati” evidenzia dunque il fatto che gli individui che definiamo “donne” o “uomini” (o che tali si autodefiniscono) condividono – più che il fatto di avere un corpo fatto in un certo modo – soprattutto esperienze, condizioni di vita, certi ruoli sociali, un certo atteggiamento nei confronti della realtà in cui vivono e talvolta anche un certo orientamento sessuale. Definire il genere, secondo tale approccio, vuol dire allora dar conto dei diversi ruoli che donne e uomini assumono all’interno di un determinato paradigma socio-culturale. Dunque, essere “femmina” (o essere “maschio”) è solo uno degli aspetti dell’essere donna (o dell’essere uomo) che, considerato da solo però, non è in grado di spiegare la complessità di tutti gli altri.

  • 15 Si considera qui come valida la distinzione tracciata da Sally Haslanger tra “tipo” e “genere”. Il (...)
  • 16 MacKinnon 1989: 113.
  • 17 Cfr. Harris 1993; Haslanger 2000b; Saul 2006; Stone 2007.
  • 18 Quest’approccio offre diversi vantaggi specie in termini politici. Se infatti le differenze biologi (...)

15Come risultato, il genere è un “tipo” sociale15 e – più precisamente – può essere definito come «il significato sociale del sesso»16. Affermare ciò, per alcuni17, equivale ad affermare che il genere sia una “costruzione sociale”. Più precisamente, che il genere non esista indipendentemente dal nostro sistema culturale di riferimento vuol dire che la linea di demarcazione tra donne e uomini dipende in gran parte da come scegliamo di formulare le differenze tra individui18. Tali differenze, essendo legate a confini posti da noi piuttosto che dalla natura, sono puramente convenzionali. In altre parole, la dicotomia donna/uomo sussiste solo perché vi è un accordo all’interno di una comunità di parlanti sulla divisione degli individui in due gruppi diversi e sul conseguente uso delle espressioni di genere.

16Ora, segue da quanto detto sopra che – quando parliamo di donne e di uomini – stiamo semplicemente utilizzando delle nozioni stabilite arbitrariamente per convenzione, qualcosa che ci aiuta a organizzare informazioni che ricaviamo da fattori sociali ma che in realtà non porta con sé alcuna “verità” o un significato che vada oltre questa sua utilità? Se escludiamo del tutto i dati della biologia, la nostra divisione tra generi è allora davvero meramente stipulativa? Il contenuto di queste domande sarà oggetto del paragrafo successivo.

3. Generi e convenzioni sociali

3.1 Il genere come costruzione sociale

17La tesi per cui il genere è socialmente costruito può apparire come estremamente vaga. Inoltre, la nozione stessa di “costruzione sociale” si applica a una molteplicità di oggetti. È opportuno pertanto tracciare di seguito alcune distinzioni.

18i) Cosa si intende per costruzione sociale? In un senso generico, possiamo definire una costruzione sociale come il prodotto intenzionale di una pratica sociale. Per esempio, è possibile sostenere che la categoria “studentessa universitaria” sia socialmente costruita perché condizione per cadere sotto di essa è il possesso di alcune proprietà relazionali. Per esempio, si è “studentessa universitaria” solo se si è parte di un sistema (di un network, diremo) che prevede un’istituzione come l’università. Sullo sfondo di certe attività sociali, gli appartenenti a una comunità giocano dunque una parte importante nel conferire un ruolo agli oggetti e nell’istituire certe categorie. In tal senso, una costruzione sociale può essere considerata un artefatto culturale.

19ii) Cosa vuol dire che il concetto di genere e le proprietà a cui esso si riferisce sono socialmente costruiti? La tesi del genere come costruzione sociale può essere intesa almeno in due modi diversi. In primo luogo, tale tesi può essere presa come un’affermazione di tipo causale sui tratti “codificati” del genere. Più precisamente, l’attribuzione alle donne di tratti considerati femminili e non maschili è causata almeno in parte da fattori sociali. Se è così, per definire il genere dobbiamo allora prendere in considerazione anche le scienze sociali come la psicologia, la sociologia, l’antropologia o la storia.

20La ragione di ciò è evidente. Le nostre comunità sono formate da strutture sociali (costituite da norme, aspettative, relazioni) le quali causano il fatto che gli individui classifichino i propri simili usando categorie di genere. Allo stesso tempo, queste strutture sociali sono responsabili del fatto che alcuni individui istanziano certi ruoli sociali piuttosto che altri o sono valutati in relazione a quelle norme, aspettative o relazioni. Ciò determina, a sua volta, che gli individui cadano sotto una categoria di genere e non sotto un’altra. Conseguentemente, i concetti e le categorie di genere che usiamo non hanno a che fare con una proprietà naturale quanto piuttosto con una certa condizione o posizione nella società che quel particolare individuo a cui ci riferiamo condivide con gli altri membri del suo gruppo. In questo senso, il genere è una costruzione causale.

21Veniamo ora al secondo modo in cui è possibile intendere la tesi del genere come socialmente costruito. Si può legittimamente sostenere che tale tesi non racchiuda in sé alcuna affermazione di tipo causale: il genere è uno strumento di analisi, la cui utilità teoretica può essere valutata ed eventualmente messa in discussione, ed è introdotto allo scopo di spiegare certi fenomeni. Secondo tale approccio, il genere non è altro che una categoria sociale per definire la quale dobbiamo far riferimento a un’ampia rete di fattori sociali, i quali però non risultano esserne la causa. Come vedremo qui di seguito, considerare il genere in questo modo non permette di cogliere gli aspetti pragmatici delle categorie di genere, ragione per cui si adotterà qui una posizione in linea con l’interpretazione causale.

22iii) A quale particolare tipo di pratica sociale è legato il genere? A quella del nominare e del classificare. In tal senso, il genere è una costruzione linguistica (o detta anche “discorsiva”). La realtà non è già articolata in donne e uomini. Piuttosto, tale ripartizione è argomento di stipulazione. C’è un senso in cui si può legittimamente affermare che anche gli individui siano socialmente costruiti. Infatti, le nostre stipulazioni linguistiche sono ciò attraverso cui articoliamo in generale la realtà. Dato che la nostra relazione con il mondo è sempre mediata dal linguaggio e dai concetti, donne e uomini sono il risultato di ciò che viene attribuito loro (o che si auto-attribuiscono) e, al pari degli altri oggetti che fanno parte del mondo, il loro modo di essere è strettamente legato alle nostre pratiche descrittive e classificatorie. Consideriamo un esempio. Posso classificare alcune persone come “simpatiche” o “antipatiche”. Tuttavia, questa distinzione non cattura una differenza intrinseca propria dei singoli soggetti che così ho classificato. Infatti, quando affermo che una persona è simpatica, propriamente parlando, non affermo che ci sia qualcosa di simpatico in lei. Piuttosto, descrivo questa persona in un modo che è condizionato da dinamiche relazionali o da alcuni fatti che mi inducono a “vedere” o a “leggere” un suo comportamento in un certo modo. Così, non c’è una persona simpatica in sé (né una proprietà oggettiva della simpatia) indipendentemente dal fatto che ci sia qualcuno in grado di valutare un individuo come tale.

23Analogamente, donne e uomini sono artefatti culturali. Essere una donna per esempio vuol dire “essere trattata” come una donna da una comunità. Infatti, siamo il “tipo” di genere che siamo perché veniamo considerati e immaginati in un certo modo. Dunque, dato che non è la natura nè una qualche essenza che fissa le proprietà caratterizzanti a cui l’espressione “donna” (“uomo”) si riferisce, è solo attraverso le stipulazioni convenzionali che istituiamo nel mondo le differenze tra individui e regoliamo su questa base il nostro comportamento. Non c’è un’oggettività del genere che fissa una volta per sempre che cosa conta veramente per l’appartenenza a un genere e che determina la correttezza di certe nostre classificazioni indipendentemente da quello che una data comunità (o una parte di essa) stabilisce. Da un punto di vista convenzionalista, dunque, non esistono propriamente donne e uomini nel mondo. Piuttosto, veniamo classificati come appartenenti a uno dei due generi solo perché ci vengono attribuite alcune delle caratteristiche che si ritiene facciano parte del concetto donna o uomo. Ecco perché le nostre attribuzioni di genere sono per lo più uniformi. Questa regolarità deriva dal fatto che ci si aspetta che il comportamento degli altri sia convenzionalmente lo stesso.

  • 19 Cfr. Haslanger 1995: 98-102.

24Pertanto, l’idea di donna o d’uomo è una sorta di “illusione”19 che proietta modi di interagire tra individui di sesso diverso ed è contaminata dalle nostre credenze o dai nostri pregiudizi socio-culturali. Si tratta, in altre parole, di un’idea che rimanda a una costruzione filosofica-religiosa-medica-scientifica soggetta a mutamenti di senso nel corso dei tempi. Più precisamente, la costruzione sociale del genere è pragmaticamente influenzata da fattori extralinguistici di realtà sociali, ambientali, psicologiche e culturali autonome. Vale a dire, i nostri schemi di catalogazione e discriminazione dei generi sono socialmente costruiti perché i loro usi sono, almeno in parte, determinati da fattori sociali e culturali storicamente contingenti. Il significato delle espressioni di genere non è pertanto fissato definitivamente, piuttosto viene plasmato dal nostro uso comune.

25Questi schemi di classificazione dunque non sono intesi come infallibili. Data la plasmabilità delle convenzioni su cui questa si basa, la distinzione di generi non è un fatto compiuto. Una comunità infatti può accettare alcune convenzioni come valide, in seguito può – sotto la pressione critica – cambiarle e conseguentemente correggere certi usi e i loro relativi criteri di correttezza o scorrettezza.

26Riassumendo, secondo l’approccio convenzionalista qui analizzato, donne e uomini sono:

a) due gruppi distinti di individui definiti l’uno in riferimento all’altro;

b) causalmente costruiti;

c) discorsivamente costruiti;

27Come risultato, il genere può essere definito solo in maniera relazionale. Di qui, la validità delle differenze tra donna e uomo è concepibile solo all’interno di una cultura di riferimento ed è valida fin quando ci muoviamo all’interno di quel paradigma.

28Eppure, seppur più plausibile di quella puramente biologica, una posizione di tipo convenzionalista sul genere non è immune da obiezioni. Di seguito ne analizzeremo due.

3.2 Alcuni vantaggi e limiti di un approccio convenzionalista al genere

29La diversità che uomini e donne, appartenenti a culture diverse, manifestano pubblicamente rispetto ai ruoli e alle posizioni sociali che assumono sembra supportare l’idea che alla base del genere ci siano convenzioni. Un approccio convenzionalista presenta infatti un grande vantaggio: la possibilità di render conto del fatto che il modo in cui donne e uomini vivono la propria appartenenza al genere varia da società a società. Come si è visto, per il convenzionalista i nostri concetti di genere non sono dotati d’alcuna validità universale ma riflettono piuttosto un insieme di norme e di prassi accettate. Dato che il genere è socialmente costruito e che le costruzioni sociali cambiano da società a società, segue che non tutte le donne (né tutti gli uomini) vivono la loro condizione di donna (o di uomo) allo stesso modo.

  • 20 Qui il riferimento è alla nozione wittgensteiniana di “forma di vita”. Secondo Wittgenstein, una fo (...)

30Come per altre costruzioni culturali, anche sui generi comunità diverse possono adottare posizioni diverse, talvolta anche tra loro incompatibili e incoerenti. Nondimeno, in quest’attività – in cui tracciamo alcune distinzioni e ammettiamo alcune di esse come consentite – godiamo di una certa libertà. Adottare convezioni, secondo l’approccio sopra descritto, equivale a istituire confini arbitrari. Una comunità si accorda implicitamente su certe distinzioni, adottando alcuni usi come corretti. L’accordo su cui una comunità converge però non è una concordanza di opinioni ma di “forme di vita”20.

31Come si è accennato sopra, l’idea che non vi sia un “tipo” naturale di genere indipendentemente da noi si accompagna inoltre a un certo scetticismo rispetto alla possibilità che la scienza stessa possa fornire i principi naturali di classificazione. Nella propria indagine, la scienza utilizza certi “tipi” anziché altri e ciò, concede il convenzionalista, è del tutto legittimo. L’uso di un particolare schema concettuale, anziché un altro, può essere in parte giustificato da criteri d’utilità o di semplicità. Tuttavia nessuno schema di classificazione da noi utilizzato – neppure quello che ci fornisce la scienza – gode di uno statuto privilegiato. Se così, il fatto che una comunità possa cambiare, correggere o abbandonare certe convenzioni esclude che vi possano essere distinzioni di genere trattate come valide dalla comunità che però di fatto non lo siano, o casi in cui tali distinzioni siano valide ma non vengano così trattate dalla comunità. Vale a dire, secondo un convenzionalista radicale, propriamente parlando un’intera comunità non può accettare erroneamente una convenzione né può sbagliarsi nel considerare come valida una determinata classificazione in generi. Semmai, sono i singoli individui che deviano da una convenzione comunemente accettata.

  • 21 Il referente polemico qui non è il naturalismo ma un certo tipo di convenzionalismo, come quello so (...)
  • 22 Cfr. Harris 1993; Haslanger 2000b; Saul 2006; Stone 2007.

32D’altra parte, se il genere fosse uniforme e oggettivo21, allora ogni membro che cade sotto una certa categoria di genere dovrebbe condividere con gli altri membri esattamente la stessa condizione o ceto sociale, lo stesso ruolo all’interno di una comunità, lo stesso orientamento sessuale. Se così fosse, ciò che renderebbe donna o uomo sarebbe il possesso di tutti questi aspetti e la dicotomia tra i due generi verrebbe stabilita in riferimento a questo insieme ben configurato di caratteristiche. Come conseguenza, ogni donna (di ogni epoca storica, di qualsiasi età o provenienza geografica) sarebbe diversa da ogni uomo sotto tutti questi aspetti. Tuttavia, è evidente che la condizione di una donna occidentale e appartenente alla classe media sia profondamente diversa, per esempio, da quella di una donna africana e che vive in condizioni d’estrema povertà. Così, se si adottasse l’idea del genere come un gruppo uniforme di individui con una comune identità sociale, allora avremmo difficoltà a spiegare il fatto che le donne sono diverse le une dalle altre rispetto alla nazionalità ed etnia d’appartenenza, fede religiosa, schieramento politico, età, classe sociale e posizione economica, orientamento sessuale. Secondo molti22, è un errore dunque separare la questione del genere dall’influenza di fattori come questi. L’insieme delle donne – così come quello degli uomini – ha un aspetto estremamente eterogeneo nel suo interno. In esso dovremmo includere le donne di razza bianca, europee, americane, asiatiche, latine, atee, eterosessuali, politicamente conservatrici oppure progressiste, lesbiche e così via. La varietà del genere è però un aspetto di cui un approccio convenzionalista, proponendone un’analisi contestualizzata, permette in qualche modo di dar conto.

  • 23 Per esempio, Chodorow 1995.

33Questo però non è l’unico vantaggio che una posizione convenzionalista offre. Un tale approccio ci permette di spiegare non solo le differenze tra individui donne o uomini di una comunità e quelli appartenenti a un’altra, ma anche le differenze riscontrabili tra i membri di una stessa comunità. Accettare infatti una posizione convenzionalista sul genere vuol dire mettere in conto il fatto che neppure tutte le donne né tutti gli uomini di una stessa comunità sperimentano la loro appartenenza al genere in un solo modo. L’identità di genere non solo è il prodotto di una costruzione culturale, alcuni23 sostengono, ma è anche creato attraverso un percorso individuale che ha a che fare con il mondo intimo delle proprie emozioni, dei propri affetti e delle fantasie segrete. Il senso della singola appartenenza al genere è una fusione inestricabile di significati personali e collettivi, di fatti privati e di fatti pubblici, un percorso di socializzazione della propria sessualità e del proprio adattamento culturale. Ora, il percorso di ognuno è un percorso differente collegato alle proprie esperienze di vita, di infanzia, di adolescenza, di vita familiare e sentimentale. In tal senso, l’identità di genere è propria e unica. Se così, allora sarebbe più corretto dire che un individuo di sesso femminile (o maschile) non diviene semplicemente una donna (uomo), ma un particolare tipo di donna (o di uomo).

34Tuttavia, il convenzionalismo non è immune da obiezioni. La domanda che alcuni pongono è la seguente: se alla base delle distinzioni di genere vi sono convenzioni, da questo segue che la separazione tra donne e uomini è del tutto indeterminata? La tesi per cui il genere sia una costruzione sociale sembra conferire al genere una radicale vaghezza. Se infatti l’appartenenza a un genere varia non solo a seconda delle aree geografiche, dei periodi storici, dalla cultura d’appartenenza ma anche dei percorsi e delle esperienze personali di ogni singolo, allora il concetto di donna e di uomo risultano relativi e indeterminati. Se ognuno di noi partecipa al genere in modo diverso anche all’interno del proprio gruppo, quale aspetto convenzionale determinerebbe l’appartenenza al genere di ogni singolo? Che cosa allora colgono le espressioni “donna” e “uomo”?

35Sembra dunque che non sia sufficiente ridurre la differenza tra individui rispetto al genere a semplici convenzioni. In alcuni casi, non basta essere trattati dalla comunità come una donna (o uomo) per essere una donna (o uomo). Il caso di Thomas Beatie da cui siamo partiti, per quanto singolare, sembra presentare oltre a una discordanza tra genere e sesso anche una discordanza di opinioni tra gli appartenenti a una comunità. Per spiegare che cosa sia il genere, occorre allora qualcosa di più. Di seguito, vedremo come il ricorso a una metafisica dei tropi possa fornire al convenzionalista il supporto di cui ha bisogno. Si tornerà inoltre sulla questione sessuale e si mostrerà in che misura dire che il sesso non sia necessario per l’appartenenza a un genere non equivale a dire che un individuo debba necessariamente porsi al di là del proprio sesso.

4. Differenti tropi, differenti generi

36In che termini è possibile tenere insieme l’idea dell’appartenenza al genere come costruzione sociale e quella del genere come costruzione individuale?

  • 24 Trettin 2004.
  • 25 Il termine “tropo” è stato introdotto da D.C. Williams (1953) e rimanda alla nozione leibniziana di (...)

37Di recente, si è proposto l’appello ai tropi per offrire una spiegazione dell’identità personale24. Tale approccio considera un individuo come una struttura complessa di differenti tropi. In generale, i tropi sono proprietà particolari o qualità individuali ed esistono come unità singole e non ripetibili25. Più precisamente, i tropi sono proprietà indissolubilmente legate a un determinato particolare e non condivisibili nel senso in cui lo potrebbero essere gli universali. Così, la collocazione spazio-temporale di un tropo è unica come quella del particolare oggetto di cui il tropo in questione è parte. Un tropo è qualcosa di primitivo che però può coincidere, occorrere e coesistere allo stesso tempo con altri tropi. Dunque, i tropi che figurano come proprietà particolari di un oggetto sono necessariamente co-ubicati gli uni con gli altri.

38Vediamo allora più da vicino in cosa esattamente consiste una spiegazione di questo tipo quando viene applicata agli individui. Consideriamo un esempio. Se è corretto quanto detto sopra, allora Emily Dickinson è la somma di diversi tropi: “il suo modo particolare di essere una scrittrice”, “il suo modo particolare di essere una cittadina americana appartenente alla classe media”, “il suo modo particolare di essere un essere umano di sesso femminile” ecc. La “somma” di tutti questi tropi coesistenti (e molti ancora) costituisce la persona che Emily Dickinson è.

  • 26 Qui il termine “donnità” traduce l’inglese womanness.

39Proviamo allora a introdurre i generi come tropi. Intendere il genere in questo modo presenta diversi vantaggi. Uno di questi è che così possiamo descrivere l’identità di genere d’ogni singola persona come unica ed esistente in una determinata collocazione spazio temporale. Il modo in cui un individuo è per esempio donna (la sua “donnità”26) è il modo particolare d’essere donna di quell’individuo che esiste esattamente dove e quando quel particolare individuo è una donna. Questo particolare modo d’essere donna è un tropo. Se così, allora l’appartenenza al genere “donna” di Emily Dickinson non è il modo speciale in cui lei partecipa a un universale né una sua particolare qualità, ma semplicemente qualcosa che Emily Dickinson (e solo Emily Dickinson) possiede. Inoltre, pensare il genere in questo modo permette di trattare un individuo come donna, per esempio, senza la necessità di dover identificare un qualche attributo o un’identità sociale che tutte le donne condividerebbero o avrebbero in comune fra loro.

40Cosa, però, rende tale un particolare tropo di “donnità”? Ovviamente, come si è visto sopra, non il fatto che questo particolare tropo sia un’esemplificazione dell’universale “donnità”. Piuttosto, i tropi “donnità” sono tali perché manifestano delle somiglianze tra loro: gli individui donne sono propriamente donne per il fatto che si somigliano gli uni con gli altri; un particolare individuo donna è propriamente una donna perché presenta delle somiglianze con gli altri individui che definiamo donne. Comprendere allora il genere in questo modo ci consente anche di spiegare cosa voglia dire per due individui appartenere allo stesso “tipo” nei termini di rassomiglianza e non di condivisione di un universale. Queste classi di somiglianza non hanno confini ben precisi. Così, ciò che stabilisce e traccia i limiti dell’appartenenza a un genere è che un individuo rassomigli sufficientemente a una classe di somiglianze e solo quegli individui che sufficientemente rassomigliano a questa classe contano come donne. Secondo quest’approccio, dunque, la particolare proprietà d’essere donna di Emily Dickinson appartiene alla classe di somiglianze chiamata “donnità”. Gli individui sono “somme” di tropi coesistenti e spazio-temporalmente collocati e i cosiddetti “universali” sono somme di tropi simili.

4.1 Perché un approccio convenzionalista ha bisogno della teoria tropi

41In che misura l’immagine che qui brevemente è stata tracciata si concilia con una posizione convenzionalista? Perché se adottiamo un punto di vista convenzionalista abbiamo bisogno dei tropi?

  • 27 Stoljar 1995: 283-4.

42Il nostro concetto di donna, come si è visto, racchiude in sé diversi aspetti che convenzionalmente vengono associati a quelle pratiche sociali in cui il termine “donna” o “uomo” trovano un’applicazione. In ciò, il concetto di donna è simile a quello di “gioco”. La nostra idea di gioco racchiude in sé quella di “divertimento”, “fortuna”, “sfortuna”, “perdita”, “vincita” e così via. Analogamente, nella nostra idea di donna ci sono differenti elementi. Cogliendo un suggerimento di Natalie Stoljar27, possiamo affermare che le nostre attribuzioni di genere ci permettono di cogliere in soggetti diversi aspetti diversi di appartenenza a un genere.

43Torniamo alla nozione di donna. Dei diversi aspetti che le nostre attribuzioni del genere “donna” colgono ne possiamo individuare almeno quattro. Un primo elemento a cui facciamo riferimento nelle nostre attribuzioni di genere è la dimensione sessuale. Comunemente definiamo un individuo donna perché è di sesso femminile. Vale a dire, diciamo che questo particolare individuo è donna perché presenta una certa morfologia oppure perché dotato di cromosoma XX. Le caratteristiche sessuali che prendiamo in considerazione includono anche altri aspetti del corpo femminile. Riconosciamo un particolare individuo come donna se manifesta alcune qualità fonetiche – come un timbro di voce più alto rispetto a quello maschile – o se ha una particolare andatura. Questo modo d’attribuzione del genere fa riferimento a una nozione di donna come costruzione “medico-biologica”.

44Un secondo elemento che le nostre attribuzioni del genere donna colgono ha a che fare invece con quegli aspetti “fenomenologici” strettamente legati a ciò che comunemente è associato con l’idea di cosa voglia dire sentirsi una donna. Sentirsi donna vuol dire avere un certo tipo di sensazioni fisiche (come per esempio: crampi addominali, dolore al seno o emicrania associati al ciclo mestruale; l’aumento di calore e arrossamento della pelle dal petto al collo durante la menopausa; esperienze sessuali femminili) o l’aver vissuto un certo tipo di esperienze come una gravidanza, un parto, un aborto o l’allattamento al seno. In ciò rientra anche l’idea che queste siano sensazioni o esperienze che potenzialmente quell’individuo che chiamiamo donna potrebbe eventualmente sperimentare. Gli elementi fenomenici comprendono inoltre quelle sensazioni che sono il prodotto di fattori sociali come la paura di camminare di notte da sole in strade buie e solitarie o di essere potenzialmente vittime di uno stupro.

45Un terzo aspetto che è possibile individuare nel nostro concetto di donna è connesso invece all’idea che le nostre attribuzioni di genere guardano ai contesti sociali, vale a dire colgono il fatto che gli individui a seconda del genere a cui appartengono ricoprono ruoli e posizioni sociali differenti. Nel nostro concetto di donna c’è anche l’idea che gli individui che cadono sotto questa categoria generalmente siano costretti a una condizione di subordinazione economica, vengano oppressi e discriminati o relegati per lo più allo svolgimento di mansioni legate alla cura della casa o dell’educazione degli figli. Questo terzo aspetto include anche la convinzione che le donne generalmente si vestono o si acconciano i capelli in un determinato modo.

46Infine, il nostro concetto di “donna” racchiude in sé un altro ingrediente rivelante: l’attribuzione (o l’auto-attribuzione) di un genere come risultato degli aspetti sopra indicati. Vale a dire, definiamo qualcuno donna (o ci definiamo come tale) proprio perché prendiamo in considerazione alcuni degli aspetti sopra elencati. In molti casi, per esempio, il fatto di avere un corpo femminile determina il riconoscersi come soggetto che ricopre un certo ruolo nella società o che ha un certo tipo di sensazioni. In altri casi, l’esperienza della maternità per esempio può essere vissuta e condizionata sia da aspetti legati al corpo sia da un certo modo culturale di intendere questa fase di vita.

47Riassumendo, il concetto di donna è un concetto “cluster” e le nostre attribuzioni di “donnità” colgono modi diversi in cui un individuo può essere donna:

i) sesso femminile (cromosoma XX, morfologia, caratteristiche sessuali, tono della voce, modo di camminare ecc.);

ii) aspetti fenomenologici (ciclo mestruale, esperienza sessuale femminile, parto, allattamento ecc.);

iii) ruoli sociali (svolgere alcune mansioni, essere sessualmente discriminate o oppresse, vestire in un certo modo ecc.);

iv) attribuzioni di genere (definire qualcuno o autodefinirsi donna).

48L’idea generale qui è che, per cadere sotto la categoria di donna, non sia necessario per un individuo soddisfare tutti gli aspetti del cluster sopra elencati. Infatti, non c’è un determinato aspetto (come una certa posizione sociale, un certo comportamento, un aspetto legato al corpo) che deve essere necessariamente posseduto da un individuo per contare come donna. Così per esempio avere un cromosoma XX o essere di sesso femminile, poiché non c’è alcuna relazione necessaria tra sesso e genere, non è un elemento necessario per essere una donna. Un certo individuo potrebbe risultare donna anche se non è femmina semplicemente perché presenta altri aspetti inclusi nel cluster in questione. Allo stesso tempo, un tale modo di concepire il genere ci permette di considerare donne anche gli individui che non sono discriminati sessualmente o ricoprono una posizione socialmente ed economicamente vantaggiosa, vale a dire quegli individui che non rispettano l’elemento (iii) come sopra definito.

49Come risultato, comprendere il concetto di donna come un concetto cluster ci permette di spiegare le somiglianze che convenzionalmente riscontriamo tra i membri di un genere in un modo che si concilia con la teoria dei tropi: le somiglianze tra gli individui, date le loro differenze, non sono identità e gli individui non divengono semplicemente donne o uomini ma un particolare tipo di donna o d’uomo. Inoltre emerge da quanto detto sopra che le convenzioni che portano al riconoscimento di solo due gruppi (quello delle donne e quello degli uomini) potrebbero a un certo punto cambiare e una comunità potrebbe decidere di introdurre nuovi generi.

  • 28 Rispetto al contenuto di queste tre domande sono grata ad Andrea Borghini per avermele poste.

50Rispetto all’analisi qui esposta sorgono però una serie di domande. Esaminiamone schematicamente tre28.

51Prima domanda: Pur ammettendo che, a seconda del contesto sociale, i tropi che contano per l’assegnazione del genere possano variare, ci sono combinazioni che non si possono mai dare? Risposta: No! In linea di principio le combinazioni dipendono da quello che una comunità stabilisce. Dal momento che ci sono diversi modi altrettanto legittimi di costruire la realtà e di istituire convenzioni, definire il genere in quel determinato modo non è una “scelta” che siamo costretti a fare.

52Seconda domanda: Ci possono essere casi in cui un individuo soddisfa tropi appartenenti ai due generi diversi? Risposta: Sì, e il caso di Thomas Beatie ne è un esempio. Pensare i generi come tropi ci permette di considerare i casi di quei soggetti con caratteristiche sessuali indeterminate, per esempio transessuali che si autodefiniscono donna e si vestono da donna ma non hanno il cromosoma sessuale XX. Naturalmente, più complesso è analizzare il modo in cui una comunità decide di trattare eventualmente i casi in cui si manifestano delle discordanze. Ci potrebbero essere casi in cui, per ragioni dettate da cambiamenti sociali o scientifici, una comunità corregge o abbandona un certo modo convenzionale di classificare gli individui in generi. Oppure, una comunità può anche scegliere – per ragioni dettate da pregiudizi politici o religiosi – di emarginare un singolo o un gruppo perché considera il loro modo di attribuire o di attribuirsi l’appartenenza a un genere come “incorreggibile” e non adatto alla vita comunitaria. In questo ultimo caso, il rischio è che alcune convenzioni possano creare delle discriminazioni.

53Terza domanda: Per l’appartenenza a un genere, l’avere un ruolo fenomenico e uno sociale conta come maggiore evidenza di due ruoli fenomenici? Essere incinta e vestirsi da donna conta di più del fatto di essere incinta e di provare paura nel muoversi da sola di notte? Risposta: La distinzione tra ruoli fenomenici e sociali per l’assegnazione del genere è estremamente rilevante ma deve essere sempre contestualizzata. Non c’è di per sé un ruolo che conti più di altri. La comunità su ciò implicitamente si accorda.

4.2 Alcune conseguenze sull’identità di genere

54La tesi che non esiste un universale “donna” (o “uomo”) ha importanti conseguenze sul piano dell’identità personale. Una volta che un individuo si è costruito un genere sembra plausibile che gli aspetti del suo genere siano profondamente connessi al senso che tale individuo ha di sé. Tuttavia, sostenere ciò non vuol dire che il genere di un individuo (una volta che ne possiede uno) sia qualcosa d’essenziale alla sua identità. La “donnità” nel caso di Emily Dickinson – pur essendo un elemento estremamente rilevante – non è un elemento che costituisce una determinazione essenziale del suo essere una persona. L’appartenenza al genere sembra invece soggetta al cambiamento (crescita, sviluppo ecc.) ed essere piuttosto una questione di gradi. Si può arrivare, come nel caso di Thomas, sino al cambiamento di genere senza che venga mutata l’identità di un soggetto. Affermare che il genere sia anche una questione di gradi non implica però cadere in una determinazione del genere nei termini di una maggiore o minore intensità. Ossia, non equivale a dire che nella classe, per esempio, delle donne ve ne sarebbero alcune “più donne” di altre. Significa piuttosto che è arduo stabilire un confine netto tra le donne e le “non-donne”.

55Torniamo allora al caso di Thomas. Se si adotta l’idea che l’appartenenza di un individuo a un genere sia essenziale alla sua identità, allora dovremmo concludere che il cambiamento di genere ha reso Thomas una persona diversa. Tuttavia, pur essendo un segno caratterizzante, un cambiamento di genere non determina categoricamente un cambiamento di una persona in un’altra persona. Come abbiamo visto, un individuo appartiene a un certo genere solo in quanto possiede un certo numero di aspetti che convenzionalmente sono inclusi in quel concetto cluster. Tra gli aspetti che un cluster include ci sono anche le relazioni, come la relazione con gli individui all’interno di una comunità o la relazione con il proprio corpo. Di conseguenza, anche la nostra identità di genere e il senso che abbiamo di noi sono in parte costituiti dall’essere in certe relazioni con gli altri e con quello che ci circonda. Pertanto, anche la stessa natura del sé è di tipo relazionale. Così, Thomas – decidendo di cambiare genere – non è diventato una persona diversa, piuttosto ha cambiato il suo modo di relazionarsi con il mondo (e con sé stesso) ed è cambiato il modo in cui gli altri interagiscono con lui.

5. Conclusione

  • 29 Sono profondamente grata a Francesco Berto, Andrea Borghini, Elena Casetta, Esa Diaz-Leon, Philipp (...)

56In quest’articolo, si è sostenuto che – se le categorie di genere vengono pensate in termini di proprietà particolari, o tropi, piuttosto che in termini di universali – è possibile una posizione convenzionalista sul genere che ci permette di spiegare l’individuale diversità all’interno dei generi. Come si è visto, non c’è un’identità sociale o un’essenza che tutte le donne o tutti gli uomini hanno in comune ma esistono solo particolari individui con un determinato genere, ossia manifestazioni di proprietà particolari che possono esistere solo come localizzate a un tempo t. 29

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Note

1 Qui il riferimento è al femminismo di tradizione analitica. Vedi Mikkola 2008.

2 Sulla terminologia del genere, si vedano: Stoller 1968; Rubin 1975; Nicholson 1994 e 1998; Mikkola 2008.

3 Un esempio di questa corrente di pensiero è quello offerto a fine Ottocento da Geddes e Thompson 1889.

4 de Beauvoir 1949: 112; tr. it.: 83.

5 Si è sostenuto – per esempio – che i tratti psicologici e comportamentali sarebbero da ricondursi al metabolismo: le donne sarebbero in grado di conservare più energia degli uomini e questo le renderebbe passive, conservatrici e disinteressate alla politica (Moi 1999: 18). Generalmente, la collocazione delle radici del genere nella natura ha significato trovare in essa una giustificazione a sostegno della gerarchia dei sessi e della condanna degli individui di sesso femminile a una condizione di inferiorità sul piano sociale e politico. Negli anni Settanta, infatti, argomenti di questo tipo sono stati utilizzati per impedire alle donne di accedere ad alcuni tipi di attività lavorative, come per esempio quella di pilotare un aereo (Rogers 1999: 11). All’interno di questa tendenza, si è inoltre difesa l’idea per cui alcuni aspetti fisiologici del sesso femminile, come il ciclo mestruale, renderebbero le donne instabili da un punto di vista emotivo (Gorman 1992). Per questo, si è sostenuto, le donne non sarebbero in grado di mantenere lo stesso livello di attenzione degli uomini e non sarebbero adatte a svolgere un certo tipo di attività.

6 Ghiselin 1974; Reinboth 1975; La Greca 1990; Mitchell, Mutchmor, Dolphin 1992; Sterelny e Griffiths 1999.

7 Per una discussione degli esempi citati in questo paragrafo rimando in particolare a Sterelny e Griffiths 1999: 27, 174.

8 Ciò accade tra i pesci (in particolare con le orate).

9 In alcune specie di uccelli, l’inversione è opposta: prima si verifica la condizione femminile poi quella maschile.

10 Nel regno vegetale, l’ermafroditismo è presente, anche se in maniera meno diffusa che in quello animale. È stato infatti osservato che alcune piante come l’agrifoglio presentano fiori maschi su alcuni individui e fiori femminili su altri. Ciò garantisce alla specie una fecondazione a incrocio.

11 Fausto-Sterling individua cinque forme diverse di sesso. Per maggiori dettagli, vedi Fausto-Sterling 1993 e 2000a; Moi 1999.

12 De Beauvoir 1949: 285; tr. it.: 271.

13 Per un trattamento più dettagliato della posizione di de Beauvoir rimando a Butler 1986.

14 In ciò, il pensiero femminista ha riconosciuto la causa della subordinazione degli individui di sesso femminile: le donne sono “istruite” a essere docili e passive rispetto all’universo maschile. Secondo tale prospettiva, dato che questo è un ruolo che le donne passivamente incarnano, è possibile allora creare società più eque attraverso un lungo processo di presa di coscienza e di emancipazione da un certo modo di intendere le relazioni tra individui di sesso diverso.

15 Si considera qui come valida la distinzione tracciata da Sally Haslanger tra “tipo” e “genere”. Il termine “genere” è usato in modi diversi. Generalmente, esso è utilizzato per classificare le sostanze in base alla loro essenza. Inteso in questo senso, il genere è un gruppo i cui membri condividono una comune essenza: le tigri, per esempio, sono un genere perché ogni tigre ha essenzialmente un certo numero di proprietà che definiscono quel genere. In altri usi del termine invece, “genere” è usato in riferimento ai tipi, vale a dire a un gruppo di oggetti (non necessariamente sostanze) che hanno in comune non un’essenza ma solo una certa unità. Dati questi diversi significati, di seguito si userà l’espressione “tipo” in questo secondo senso. Vedi Haslanger 2006: 116.

16 MacKinnon 1989: 113.

17 Cfr. Harris 1993; Haslanger 2000b; Saul 2006; Stone 2007.

18 Quest’approccio offre diversi vantaggi specie in termini politici. Se infatti le differenze biologiche sono distinte da quelle sociali, allora possiamo considerare molte delle differenze tra donne e uomini come socialmente prodotte e dunque, in qualche modo, modificabili.

19 Cfr. Haslanger 1995: 98-102.

20 Qui il riferimento è alla nozione wittgensteiniana di “forma di vita”. Secondo Wittgenstein, una forma di vita è tutto ciò che una comunità condivide (cfr. Wittgenstein 1953: §§ 23, 241).

21 Il referente polemico qui non è il naturalismo ma un certo tipo di convenzionalismo, come quello sostenuto da Sally Haslanger. Pur assumendo una posizione realista sul genere, Haslanger ritiene che le distinzioni tra generi debbano essere spiegate in termini costruttivisti: tutte le donne per esempio condividono una particolare posizione sociale, quella “sessualmente subordinata”. Più precisamente, sostiene Haslanger, il genere “donna” non è altro che un gruppo di individui socialmente oppressi che occupano posizioni subordinate a causa di alcune caratteristiche attribuite al loro corpo. Questa definizione del genere “donna” è, secondo Haslanger, perfettamente conciliabile con il fatto che le forme di discriminazione e di subordinazione possano variare in relazione ai diversi contesti culturali. Cfr. Haslanger 2000b: 42 e ss. Una discussione approfondita della posizione di Haslanger va al di là degli scopi di quest’articolo, pertanto qui mi limito ad affermare che – a mio avviso – la sua soluzione non riesce adeguatamente a dare conto del fatto che gli stessi criteri per le distinzioni di genere differiscano in relazione allo spazio e al tempo.

22 Cfr. Harris 1993; Haslanger 2000b; Saul 2006; Stone 2007.

23 Per esempio, Chodorow 1995.

24 Trettin 2004.

25 Il termine “tropo” è stato introdotto da D.C. Williams (1953) e rimanda alla nozione leibniziana di “accidente individuale”. In tempi recenti, la teoria dei tropi è stata sviluppata da Keith Campbell (1990), John Bacon (1995) e da D.W. Mertz (1996). Per un quadro più dettagliato, vedi Macdonald 1998 e Bacon 2008.

26 Qui il termine “donnità” traduce l’inglese womanness.

27 Stoljar 1995: 283-4.

28 Rispetto al contenuto di queste tre domande sono grata ad Andrea Borghini per avermele poste.

29 Sono profondamente grata a Francesco Berto, Andrea Borghini, Elena Casetta, Esa Diaz-Leon, Philipp Keller, Tito Magri e Achille Varzi per avermi aiutato pazientemente, con i loro suggerimenti e le loro obiezioni, a chiarire gran parte delle questioni che sono discusse in questo articolo.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Vera Tripodi, «Convenzioni e generi. Donna (o uomo) si nasce o si diventa?»Rivista di estetica, 41 | 2009, 39-57.

Notizia bibliografica digitale

Vera Tripodi, «Convenzioni e generi. Donna (o uomo) si nasce o si diventa?»Rivista di estetica [Online], 41 | 2009, online dal 30 novembre 2015, consultato il 28 mars 2024. URL: http://journals.openedition.org/estetica/1853; DOI: https://doi.org/10.4000/estetica.1853

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