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Spectacles et performances artistiques à Rome (1644-1740)

 | 
Anne-Madeleine Goulet
, 
José María Domínguez
, 
Élodie Oriol

Troisième partie - Lieux d’exécution, palais de famille et institutions urbaines / Luoghi di esecuzione, palazzi di famiglia e istituzioni urbane

Ricostruire un teatro

Studio intorno all’Artaserse di Leonardo Vinci (Alibert 1730): aspettative e messinscena di uno spettacolo per il pubblico cosmopolita romano

Giulia Anna Romana Veneziano

Résumé

Lo studio si concentra sulla macchina produttiva di un teatro strategicamente importante nel panorama culturale romano del Settecento, il teatro Alibert / Delle Dame, allo scopo di ricostruirne la valenza e l’attività. L’opera Artaserse di Leonardo Vinci / Pietro Metastasio, rappresentata nel Carnevale del 1730, viene utilizzata come study-case per dimostrare come veniva pianificata la programmazione musicale attraverso una gestione impresariale audace ed indipendente che permise di valorizzare i parametri artistici ideali provenienti da Napoli. La sopravvivenza di una documentazione eccezionale ci permette di offrire una ricostruzione quasi tridimensionale di quella che fu la macchina organizzativa del teatro, dalla scelta dei cast alla tempistica necessaria alla redazione dei contratti per le rappresentazioni stagionali, dalle concessioni delle attività commerciali legate agli spettacoli alla scoperta degli organici necessari alle recite: una gestione utile per attrarre ed ottenere il sostegno delle famiglie più influenti nello scacchiere politico ed economico della città.

Texte intégral

  • 1 La percezione di piazza di Spagna e dintorni come “teatro politico” è misurata nel saggio di Kieve (...)
  • 2 Questo saggio rappresenta il prosieguo delle mie ricerche intorno all’attività produttiva del Teat (...)
  • 3 Qui di seguito gli studi principali sulle vicende del teatro: Amadei 1936; Rava 1943; De Angelis 1 (...)

1Intorno a piazza di Spagna, Roma ha collaudato nei secoli uno spazio fortemente rappresentativo delle dinamiche culturali collegate alle strategie delle famiglie aristocratiche residenti. In questo teatro a cielo aperto si giocarono, a colpi di progettazioni di opere d’arte permanenti ma anche di spettacoli effimeri, raffinate partite diplomatiche tra nazioni straniere e fazioni rivali, allo scopo di amplificare le ragioni di un potere che doveva mostrarsi evidente ed indiscusso.1 Zona cruciale per lo scacchiere politico romano, ostenta – ancora oggi – palazzi, strade, sale, fontane e monumenti tutti essenziali allo spettacolo che agonisticamente veniva promosso e che disegnò in età moderna la storia della città e della cultura europea. Tra via Margutta e via del Babuino, il Teatro d’Alibert / delle Dame (dal 1725)2 ospitò, sin dalla sua inaugurazione (1717), rappresentazioni teatrali dei compositori più quotati, sostenuti da una appassionata aristocrazia e da quei diplomatici di passaggio che vollero dare alle loro lunghe “vacanze romane” una densità senza precedenti.3

  • 4 Oltre a Franchi 1997, p. XXVIII-XXXI, si leggano le riflessioni in questa direzione in Strohm 2008 (...)
  • 5 Per sostenere la concorrenza, il Teatro Capranica dal 1729 si affidò allora ad un impresario prove (...)
  • 6 Su Leonardo Vinci la bibliografia più recente annovera i contributi di Markstrom 2007 e 2001; Vene (...)
  • 7 Sul sodalizio artistico Metastasio/Vinci si vedano gli studi Armellini 2004, 2005. Si segnala inol (...)
  • 8 Artaserse 1730 (Libretto in I-Fm, Mel.2267.12; I-Vgc, ROL.0650.08; I-Rn, 35.10.A.7.1. Partiture in (...)

2Il teatro Alibert venne stimato, nel tessuto culturale, sociale ed economico della Roma della prima parte del XVIII secolo, come uno degli spazi più interessanti del tempo: un teatro che oggi definiremmo “indipendente”, ovvero autonomo nella pianificazione della programmazione musicale, luogo di espressione di tendenze artistiche innovative ma anche in grado di relazionarsi con la pluralità della spietata concorrenza territoriale. In gara con il Teatro Capranica, l’Alibert sperimentò, con un’audacia e una disinvoltura gestionale che condussero periodicamente i vertici direttivi alla bancarotta, la produzione musicale di compositori non romani, inseguendo i nuovi parametri estetici che corteggiavano le proposte più interessanti provenienti, in quegli anni, da Venezia ma soprattutto da Napoli.4 Le aspettative del pubblico cosmopolita romano del tempo erano orientate, infatti, su proposte artistiche di importazione: se il Capranica e il Pace, dopo aver valorizzato i compositori più prestigiosi del tempo e più tradizionalisti (per esempio Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini o Francesco Gasparini), costituirono dal 1724 l’avamposto per il lancio di nomi soprattutto non locali (Antonio Vivaldi, Domenico Sarro, Leonardo Leo, Tommaso Albinoni, Riccardo Broschi, Luca Antonio Predieri, Giovanni Fischietti, Niccolò Porpora),5 l’Alibert fu l’unico teatro in grado di scritturare in maniera sistematica, dal 1726, in stretto sodalizio artistico con il futuro poeta cesareo Pietro Metastasio, il nome più all’avanguardia del momento: il napoletano Leonardo Vinci (1690-1730).6 Con l’eccezione di una doppia collaborazione con Porpora (Siroe, Alibert, 1727 e un rifacimento del Siface, Valle, 1730) e con Auletta (Ezio, Alibert, 1728), Metastasio lavorò esclusivamente con Vinci fino alla morte del compositore, creando, nella storia della musica, una tappa di riferimento per il teatro d’opera di tutto il Settecento, annunciatrice di uno stile più raffinato ed evocatrice della tradizione compositiva napoletana.7 L’Artaserse, rappresentato come seconda opera del Carnevale alibertiano del 1730, ne diviene l’emblema.8

  • 9 Veneziano 2019.
  • 10 Sul patronage degli Stuart all’Alibert vedasi Blichmann 2019b, oltre al suo saggio in questo stess (...)
  • 11 Prima messa in musica assoluta e termine di confronto per molti altri compositori che musicarono i (...)
  • 12 Presso l’Archivio del Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta, sono conservati, relativamente al sec (...)
  • 13 Per un riassunto delle alterne vicende legate alle varie gestioni dell’Alibert cf. Veneziano 2019, (...)
  • 14 Ristretto degli Istrumenti verificanti la provenienza del Teatro d’Alibert ora detto Delle Dame ne (...)
  • 15 Intorno alle modalità di scritturazione artistica si legga anche Oriol 2016.

3Recentemente ho evidenziato come la promozione del brand Napoli sia stata una delle campagne vincenti attuate dai gestori dell’Alibert, nonostante le incertezze finanziarie e i pericoli di investimento dei capitali:9 il management impresariale che faceva affidamento sulle quote private di partecipazione riuscì splendidamente a garantire l’inseguimento di un ideale estetico che trovò appoggio anche attraverso la presenza di sostenitori e simpatizzanti, come la non convenzionale coppia Stuart Giacomo III e Maria Clementina Sobieska10. La sopravvivenza di una serie di libri contabili presso l’Archivio del Sovrano Ordine di Malta, relativi all’attività produttiva dell’Alibert, completati da altri documenti preziosi conservati presso l’Archivio Apostolico Vaticano e presso l’Archivio Capitolino di Roma, ci permette di tentare una non semplice ricostruzione, quasi tridimensionale, di quella che fu la macchina produttiva del teatro, con la stima della valenza di una performance rivelatrice di un progetto culturale e artistico concepito in uno spazio indipendente da condizionamenti esterni alla volontà dei soci-gestori. Paradigmatica per la storiografia – anche per essere stata l’ultima opera composta da Vinci prima della sua morte prematura e l’ultima di Metastasio prima della sua partenza per Vienna –, Artaserse ebbe un successo quasi di repertorio, poiché venne ripresa e rivisitata, non più sotto il controllo del compositore, almeno fino al 1746, nei teatri di tutta Europa.11 Attraverso lo studio dei documenti, la gestione del teatro si rivela di non immediata comprensione. Nei libri mastri e nei volumi di entrata e uscita12 si registravano i conteggi delle spese e degli introiti, attraverso un resoconto capillare che però non giustifica i ripetuti tracolli finanziari delle amministrazioni che si sono avvicendate nella gestione del teatro.13 La scelta delle opere da commissionare e dei cast da ingaggiare (il momento di «stabilire la compagnia degli attori») avveniva attraverso una riunione dei «consoci» o «comproprietari» (è così che, nei documenti, sono definiti i gestori dell’Alibert, come appartenenti a una società di proprietari), convocata nel mese di aprile dell’anno precedente a quello delle rappresentazioni: le decisioni definitive venivano intraprese solo dai presenti («non intervenendo tutti sia lecito a chi interverrà dei presenti di prendere qualunque stabilimento»).14 Da questo momento in poi partiva – senza dunque soluzione di continuità con le stagioni appena conclusesi – la macchina organizzativa della produzione – monitorata da riunioni mensili – intorno alle due opere annuali, che contemplavano gli ingaggi artistici,15 i contratti agli artigiani e alle maestranze, la distribuzione delle licenze per attività commerciali collegate alle sere di recita (appalti per la vendita dei beni di conforto), etc. L’Artaserse, la seconda opera del Carnevale di quell’anno (la prima era stata Alessandro nell’Indie sempre di Vinci/Metastasio), andò in scena sabato 4 febbraio 1730, in spietata concorrenza con gli spettacoli, non solo musicali, che in quella settimana vennero rappresentati in città:

  • 16 Diario ordinario, Roma, Chracas, 1730, n° 1954, p. 2-3. A seguire (p. 3-4), luoghi («Teatro alli G (...)

Roma 11 febraro. Nella scorsa settimana, l’Eminentissimo Sig. Cardinale Otthoboni, nel suo nobilissimo Teatro, entro il Palazzo della Cancelleria Apostolica, diede principio alla seconda Opera in Musica intitolata Costantino Pio [G. B. Pescetti] […]. Sabbato sera, nel Teatro detto delle Dame, andò in scena il secondo Dramma intitolato l’Artaserse; Domenica al Teatro del Sig. Domenico Valle si principiò il secondo Dramma intitolato l’Andromaca [F. Feo]; e martedì nel Teatro de’ Signori Capranica, parimente al secondo Dramma intitolato: Siface Re di Numidia [N. Porpora].16

4L’ultima recita si ebbe il 21 febbraio, ma lo spettacolo venne interrotto a causa della morte di Benedetto XIII:

  • 17 Valesio 1977-1979, vol. 4, 21 febbraio 1730, p. 179. Ed. sul documento originale in I-Rasc, Archiv (...)

Nel Teatro Aribert si diede principio al Dramma ad una ora di notte, ma appena sul finir del primo atto venne ordine di cessare per la morte seguita del Papa, e si calò la tenda, gli altri Teatri furono avvertiti più per tempo onde non diedero né pure principio alle loro opere.17

  • 18 Diario ordinario, Roma, Chracas, 1730, n° 1960, p. 4.
  • 19 Questo modus operandi fa pensare agli attuali contratti teatrali, laddove in caso di interruzione (...)

5È interessante notare che, mentre le altre sale romane non avviarono affatto l’inizio delle recite – il Papa morì intorno alle dieci di sera –,18 all’Alibert si eseguì invece quasi tutto il primo atto, prima dell’interruzione. Sembrerebbe lecito supporre che, poiché gli interessi dei gestori del teatro, come si evince dai libri contabili, erano collegati all’effettiva rappresentazione delle opere (pena la restituzione del capitale annuo, gli introiti dell’affitto dei palchetti e la possibilità di assistere alle fasi di produzione dell’opera), si sia cercato di non far trapelare la notizia prima dell’inizio della recita.19

  • 20 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 421, c. 62sx (scheda PerformArt D-007-250-129).
  • 21 Ad esempio si vedano le registrazioni per le precedenti stagioni in: I-Rasmom, Ricetta di Roma, Te (...)
  • 22 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, Libro Mastro A, Dall’anno 1725 a tutto l’anno 1729, c. (...)
  • 23 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 423, c. 57.
  • 24 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 421, Libro Mastro A, c. 58sx (ed. nella scheda Perfo (...)

6Le spese per l’allestimento dell’Artaserse, unitamente a quelle per Alessandro nell’Indie (prima delle due opere del Carnevale 1730) iniziano ad essere preventivate dal 1729. Il cast vinciano, scritturato identico per entrambe le produzioni della stagione ad eccezione di un ruolo, era stato collaudato nell’esecuzione della cantata encomiastica La contesa dei Numi (Roma, 26 novembre 1729) sponsorizzata dal cardinale Melchiorre di Polignac per la nascita del Delfino di Francia, un mese prima dell’inaugurazione della nuova stagione alibertiana. In Artaserse vennero dunque scritturati il contralto fiorentino Raffaele Signorini nel ruolo eponimo, il soprano delle scene romane Giacinto Fontana detto “Farfallino” nel ruolo di Mandane (sorella di Artaserse), il tenore napoletano Francesco Tolve nel ruolo di Artabano («prefetto militare», padre di Arbace e di Semira), il soprano Giovanni Carestini, «virtuoso del serenissimo di Parma» Antonio Farnese nel ruolo di Arbace – interprete dell’aria/emblema «Vo solcando un mar crudele» –, il contralto milanese Giuseppe Appiani in Semira (amante d’Artaserse) e infine il contralto Giovanni Ossi, virtuoso di casa Borghese, nel ruolo di Megabise (militare di fiducia di Artabano). Se Vinci, per la composizione di Artaserse, percepì, come per le altre sue opere rappresentate all’Alibert e parimenti al compenso di altri compositori, la cifra di 300 scudi, il cachet per i cantanti, con registrazioni però lacunose, oscillò dai 450 scudi per Carestini ed Appiani agli 800 per Farfallino, compenso tra i più alti riscontrati nei registri contabili.20 È da rilevare come il teatro si occupasse anche delle spese vive dei cantanti (denominati «musici» nei documenti): abbiamo i conti dell’osteria presso la quale si cenava e degli affitti dei loro alloggi, nonché degli arredi e del corredo necessario al soggiorno a Roma. Non mancano riguardi per la prima donna Farfallino (tè, candelieri, carrozze, arredi) con anche l’accollarsi delle spese di 50 scudi per l’affitto di un cembalo a suo uso personale.21 Sospesa rimane l’informazione relativa invece a Pietro Metastasio per il libretto: per le rappresentazioni precedenti, le registrazioni oscillano tra i 300 scudi per l’Ezio (1729, musica di Pietro Auletta)22 o per il Catone in Utica (1727, musica di Vinci)23 e un rimborso al marchese Paolo Maccarani, consocio del teatro, per aver anticipato 65 scudi per un «orologgio con cassa, e controcassa e catena d’oro donato al signor Metastasio poeta per haver accomodato il libretto della Didone» (1726, musica di Vinci).24

  • 25 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, Libro Mastro B 1730, s.b., c. 41dx. La situazione finan (...)
  • 26 Non sono registrati i pagamenti agli Inventori, ed Ingegneri delle scene Giovanni Battista Olivier (...)
  • 27 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, Libro Mastro A, Dall’anno 1725 a tutto l’anno 1729, c. (...)
  • 28 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 423, Entrata/Uscita 1730/1737, c. 132sx: spesa regis (...)

7Nel 1730 i consoci si erano affidati all’impresario Francesco Cavanna (che firmò la dedica di Artaserse a Maria Clementina Sobieska), definito «affittuario» del teatro, ricevendo 700 scudi come investimento per la conduzione dei contratti con gli artisti.25 La macchina produttiva partiva con lo stanziamento di somme destinate, come visto, agli «attori» della rappresentazione (compositore, cantanti, librettista, orchestra, ballerini, comparse, scenografo, coreografo)26 ma anche a tutto ciò che completava le necessità per la realizzazione dello spettacolo («per le giornate dei falegnami», «d’abbattimento», al vetraio, al falegname, ai sarti, ai calzolai, ai materassai) e per la riuscita dell’evento («per le spese di foco» e «di cera» per l’illuminazione, «di guardaroba», «per la guardia dei soldati»).27 La partitura dell’Artaserse fu copiata, come l’Alessandro, da Antonio Angelini, «copista del teatro»,28 lavoro per il quale riscosse 10 scudi la sorella Elisabetta, sua erede a causa della sua morte. Probabilmente questa registrazione è relativa ad un saldo (la cosa non è specificata), poiché le spese di copiatura negli anni precedenti, allo stesso Angelini, ammontavano ad una quarantina di scudi. Si pagarono anche le spese di rilegatura in 6 tomi delle due opere (1.20 scudi a Nicola Berardi «librario» il 31 luglio 1730).

Fig. 1 – Artaserse, I, 1: «Giardino interno nel palazzo del Re di Persia, corrispondente ai varj appartamenti. Vista della Reggia. Notte con luna» (ed. Zatta, Venezia 1781, vol. 1, p. 9), copia in I-Rn, 37.41.A.1.

Fig. 1 – Artaserse, I, 1: «Giardino interno nel palazzo del Re di Persia, corrispondente ai varj appartamenti. Vista della Reggia. Notte con luna» (ed. Zatta, Venezia 1781, vol. 1, p. 9), copia in I-Rn, 37.41.A.1.

Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo – Biblioteca nazionale centrale di Roma.

  • 29 Allo stato attuale della ricerca mancano però per il 1730, a differenza degli anni precedenti, rif (...)
  • 30 Sono da segnalare la presenza del virtuoso violoncellista e compositore Giovanni Battista Costanzi (...)
  • 31 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 434, Libro Mastro D 1729, c. 78. Colpisce la presenz (...)
  • 32 Sono presenti musicisti da me individuati nei libri contabili e già registrati all’Alibert in anni (...)

8Dal 1730 cambiano le modalità di rendicontazione dell’attività, con registri i cui spazi sono farciti da annotazioni successive all’anno di riferimento, ma possiamo ricostruire i movimenti di entrata/uscita, e la loro traduzione nella realizzazione degli spettacoli, per analogia con le registrazioni sistematiche delle stagioni precedenti.29 L’orchestra dell’Alibert, costata 1.166 scudi – a cui bisogna aggiungere il pagamento per il cembalaro di 23,50 scudi – consisteva, nelle due stagioni 1728/1729 e 1729/1730, di circa 35 “sonatori”, tutti identificati, con il violino di spalla Domenico Gherarducci (pagato 80 scudi, quasi il doppio degli altri colleghi) a capo di 15 violini; si completava con 5 viole, 2 violoncelli,30 4 contrabbassi, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni da caccia e trombe in numero non specificato («a Lodovico Vacca e compagni»), anche se da un confronto con le partiture sopravvissute si evince che i fiati sono da considerarsi a parti reali. I seguenti (Tab. 1) offrono un’istantanea dell’orchestra alibertiana rilevata in un registro del 1729,31 utile a osservare le proporzioni (Tab. 2) tra le sezioni di strumenti e ad immaginare il suono che si poteva ascoltare in sala:32

Tab. 1 – Orchestra nel 1729 e compensi.

paga (in scudi)
Violini 1 Domenico Gherarducci “primo violino” 80
2 Giovanni Mossi 57
3 Francesco Perini (nel computo di Mossi)
4 Antonio Penna (nel computo di Mossi)
5 Giorgio Erba 50
6 Giovanni Battista Serra 36
7 Filippo Ricci 36
8 Luigi Piatti 35
9 Urbano Frans 33
10 Giovanni Battista Tibaldi 30
11 Giacomo Benincasa 25
12 Pietro Antonio Haym 25
13 Giuseppe Orienti 25 + 3 (per i balli)
14 Giovanni Mercuri 15
15 Carlo Martelli 24
Viole 1 Alfonso Poli [prima parte] 30
2 Ignazio Ugaldi 24
3 Giuseppe Mossi 24
4 Francesco Gabrielli 24
5 Antonio Maria Cestino 20
Violoncelli 1 Giovanni Battista Costanzi [prima parte] 80
2 Giovanni Bombelli 40
Contrabbassi 1 Giovanni Travaglia [prima parte] 50
2 Pietro Paolo Giuliani 35
3 Bartolomeo Cimapane 40
4 Francesco Agostino Cappelli 24
Oboi 1 Benedetto Micheli 50
2 Giuseppe Micheli 40
Fagotti 1 Giuseppe Fantoni 30
2 Giovanni Battista Brambilla 24
Corni da caccia 1 Giovanni Andrea Miele (Mielle) 24
2 Ernesto Pifer 24
Trombe 1 Lodovico Vacca 60
≥ 2 “e compagni” (nel computo di Vacca)
Cembalo 1 Girolamo Simonelli “secondo cimbalo” 50
Totale musicisti 35

Tab. 2 – Proporzioni delle sezioni orchestrali.

Violini Viole Violoncelli Contrabbassi Oboi Fagotti Corni da caccia Trombe Cembalo
42% 14% 5% 11% 5% 6% 6% 8% 3%
  • 33 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 421, c. 37, ed. nella scheda PerformArt D-000-721-93 (...)

9Le alterne vicende sull’amministrazione dell’Alibert trovarono un sostegno costante nel ricavato dall’affitto/acquisto dei palchetti del teatro, spazi strategici contesi dai frequentatori più assidui del teatro stesso. Un pagamento di 5,45 scudi a Giovanni Battista Vanicci «sediaro», per 30 sedie «in servizio della platea»33 ci aiuta a comprendere come fossero ripartiti gli spazi per il pubblico, oltre al riempimento dei palchetti. Probabilmente destinati alla vendita di biglietti “singoli” (nei documenti troviamo informazioni sul personale di biglietteria e sulle maschere per le sere di recita), i posti in platea erano meno prestigiosi di quelli disponibili nei palchetti, sui quali l’impresa dell’Alibert evidentemente puntava per bilanciare, attraverso le entrate ottenute con gli affitti, le spese di realizzazione dello spettacolo.

  • 34 In I-Rasc sono depositate ad esempio le cause condotte a tale riguardo dal notaio del teatro, Fran (...)
  • 35 Tra i tanti, citiamo il documento in I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, Libro Mastro del T (...)

10Una riflessione sulla fruizione degli spettacoli dell’Alibert sposta, dunque, l’attenzione sul pubblico colto e intraprendente delle rappresentazioni romane che, attraverso la conquista di una postazione privilegiata di ascolto e osservazione, determinava, anche con il sostegno economico, l’esito di ciascuna performance e conseguentemente delle linee programmatiche del teatro. Questo secondo aspetto del presente studio aiuta ugualmente a far luce sulla possibile ricostruzione dell’attività alibertiana. Si tratta di un processo che definisco di “colonizzazione” e che occupa uno spazio importante anche nella documentazione superstite: i palchetti del teatro erano contesi dai privilegiati fruitori come dimostrazione di elevato status sociale, tanto da essere oggetto di annose cause giudiziarie tra famiglie e famiglie, o tra famiglie e teatro, cause sostenute per convalidare o assicurarsi il diritto di possesso e di fruizione.34 Impressiona ad esempio il contenzioso, documentato nelle fonti dell’Archivio dei Cavalieri di Malta complementari a quelle in Archivio Apostolico Vaticano, tra la famiglia Ruspoli – da cui il fondatore del teatro Giacomo d’Alibert aveva comprato la struttura iniziale della sala nel 1716 – e i consoci del teatro stesso, i quali, ancora nel 1730, si affidavano ai notai capitolini per appianare la questione: il possesso di due palchetti e mezzo, reclamato periodicamente dai Ruspoli (sempre il n. 17, al III e IV ordine i due interi, al I ordine il ½ palchetto) in conseguenza dell’antico accordo di vendita, non era scontato senza il ripetuto pagamento di affitto ai comproprietari stessi.35

  • 36 Pöllnitz 1734, p. 302 e Lalande 1765-1767, vol. 6, p. 162.
  • 37 Tamburini 1996. Secondo invece la specificazione delle quote riscosse nei libri contabili il numer (...)
  • 38 Tamburini 1996, p. 243-260: alla fig. 27 è pubblicato il progetto di Bibiena del nuovo Teatro Alib (...)
  • 39 Tamburini 1996, p. 255, dove l’autrice specifica che «la trasgressione è solo apparente: il pubbli (...)
  • 40 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 434, Libro Mastro D 1729, c. 73.

11A questa “colonizzazione” erano interessati, oltre alle famiglie della nobiltà e dell’aristocrazia romana, anche gli ambasciatori presso la Santa Sede, di Spagna, Francia, Portogallo, Vienna. L’affitto dei palchetti oscillava dai 60 ai 90 scudi per stagione ed essi potevano essere ceduti interamente, a metà, oppure per la quantità di un quarto. L’Alibert, considerato allora come il teatro più grande e bello di Roma,36 contemplava sei ordini con 36 palchi ciascuno:37 non è possibile calcolare l’esatta capienza del teatro, né, in particolare, quante persone potesse ospitare ciascun palchetto ma, se ogni palco poteva essere affittato per un quarto (¼) di spazio – presupponendo una coppia di persone per questo contratto minimo –, la capienza totale, compresi i 30 posti in platea, poteva raggiungere un massimo di 1758 persone. Se invece un quarto (¼) fosse riferito a una persona singola, la capienza dovrebbe considerarsi di 894 persone. In relazione alla capienza, sembra difficile ricavare le misure esatte del teatro e dello spazio riservato alle esecuzioni. Gli studi di Elena Tamburini documentano l’ampliamento del palco, di «40 palmi», voluto nel 1720 da Antonio d’Alibert che incaricò del progetto il famoso architetto Francesco Galli Bibiena:38 conosciamo così testimonianze coeve e documenti collegati alle intenzioni del Bibiena per l’Alibert, in relazione anche ai suoi disegni per i teatri di Bologna, Verona e anche Vienna. Si trattò di assecondare un’esigenza di maggiore continuità tra attori e spettatori – distanza più naturale per l’osservatore e il fruitore attuale –, laddove è proprio nel progetto «di un teatro venale, l’Alibert, che Francesco [Galli Bibiena] sembra sfidare il retaggio della tradizione, ammettendo il passaggio del pubblico attraverso la zona del palco, ponendo il primo palchetto tra scena ed udienza e legando le due aree fisicamente per messo di scale».39 Un palco così grande poteva ospitare anche alcuni membri dell’orchestra, se ogni tanto, negli anni, i pagamenti specificano anche la posizione – evidentemente diversa rispetto a quella abituale, mai definita – di un isolato violinista per ottenere effetti sonori particolari: è relativa al 1729, per esempio, l’indicazione che sul palco, per le due opere della stagione (Ezio di Auletta e Semiramide di Vinci) erano collocati tre suonatori di oboe, uno di timpano, uno di «tromba da caccia» e un fagottista.40

  • 41 Incuriosiscono le diverse modalità, tutte rigorosamente annotate nei libri contabili, che gli affi (...)
  • 42 Questo aspetto sarà oggetto di un approfondimento intorno all’uso del materiale compositivo destin (...)

12Alcuni assidui frequentatori dell’Alibert, affezionati ai cartelloni stagionali, seguivano personalmente l’iter della “colonizzazione” dei palchetti:41 per citarne alcuni, oltre agli Stuart, la principessa Ippolita Ludovisi Boncompagni, il cardinale Carlo Colonna, il marchese Francesco Serlupi, il barone Pietro Mantica, il conte Pietro Clementini, l’abate Giovanni Battista Placidi (tra i gestori del teatro dal 1726 al 1729), Pietro Ottoboni, Vittoria Colonna, i Borromeo, gli Albani, gli Acquaviva, i Chigi, i cardinali Coscia, Cienfuegos e Pignatelli, i Borghese, i Ruspoli. Nel 1730, alcuni di loro, oltre alla cifra destinata ai palchetti, offrirono ingenti somme di denaro (ma nella contabilità non ne viene specificata la causale). Il legame tra alcuni di questi sostenitori e l’ambiente culturale e musicale napoletano, a supporto dell’attenzione nei confronti dell’opzione Vinci/Metastasio, è decisivo per giustificarne la scelta sperimentale di altissimo livello artistico, condivisa e incoraggiata come sfida alla spietata concorrenza di mercato. Le aspettative del pubblico, dei proprietari del teatro, dei mecenati reali erano concentrate, a mio avviso, sulla bellezza della rappresentazione e della musica, nonché sulla qualità e sulla spettacolarizzazione dell’evento: infatti, sebbene le prove fossero ascoltate in anteprima, durante incontri musicali organizzati privatamente nelle case aristocratiche e nei monasteri,42 solo attraverso la messinscena si concretizzavano gli sforzi e le energie diffuse nella realizzazione dell’opera musicale.

  • 43 Preziosa per una consapevole ricostruzione moderna, la conoscenza della prassi performativa del te (...)

13Nonostante molti siano ancora gli interrogativi rimasti privi di risposte, sia dal punto di vista pratico – ad esempio come si realizzavano i cambi di scena e quanto tempo si aspettava tra gli atti – sia dal punto di vista progettuale – ad esempio come esattamente venivano presentate (e per interesse di chi) le proposte artistiche e con quali criteri venivano selezionate all’interno di una possibile rosa di candidature –, abbiamo adesso la percezione di come poteva funzionare la macchina organizzativa di un teatro strategico, nella Roma del tempo, come l’Alibert: possiamo, finalmente, ricostruirlo, e forse non solo attraverso un ologramma immaginario. Lavorare intorno alla realizzazione dell’Artaserse di Vinci all’Alibert su questo tappeto documentario, sulle partiture sopravvissute (sfortunatamente non quella di Angelini) con il libretto, offre una prospettiva nuova per lo studio dello spettacolo a Roma, con l’obiettivo di utilizzare efficacemente i dati raccolti in un intarsio interpretativo non più invisibile ma finalmente tangibile.43

Notes

1 La percezione di piazza di Spagna e dintorni come “teatro politico” è misurata nel saggio di Kieven 2006, mentre uno study-case sull’uso politico degli spazi, i tempi i riti e i protagonisti della festa si legge in Boiteux 1985.

2 Questo saggio rappresenta il prosieguo delle mie ricerche intorno all’attività produttiva del Teatro Alibert e alle scelte programmatiche maturate in seno al progetto culturale del teatro stesso: si veda Veneziano 2019 cui rimando anche per i numerosi riferimenti bibliografici. Nonostante il cambio di nome dovuto a ragioni finanziarie e di marketing, continuiamo a denominare il teatro oggetto di questo studio come Alibert, seguendo una consuetudine che si è perpetuata, anche nella documentazione superstite, fino al 1863, anno della distruzione del teatro a causa di un incendio.

3 Qui di seguito gli studi principali sulle vicende del teatro: Amadei 1936; Rava 1943; De Angelis 1951; Franchi 1997, p. XLVII-LVIII; Mori 1994; Cerocchi 1991; Pastura Ruggiero 1989. Il nome del teatro fu mutato in «delle Dame» dal 1725, anno in cui cambiarono i vertici gestionali a causa di un clamoroso fallimento (la vecchia intitolazione sarebbe rimasta vivida fino al 1863, anno del disastroso e definitivo incendio del teatro). Dalla sua fondazione, il teatro era passato dalla gestione diretta del conte Antonio d’Alibert a quella di un gruppo di consoci (cf. Veneziano 2019, p. 170): vicenda ricostruita in Franchi 1997, p. LIII.

4 Oltre a Franchi 1997, p. XXVIII-XXXI, si leggano le riflessioni in questa direzione in Strohm 2008, p. 361-362, 638-649 e Antolini – Gialdroni 1996. L’humus culturale intorno alle stagioni teatrali romane è indagato in molteplici sfaccettature nei saggi accolti in Franchi 1996. Con Margaret Murata è in pubblicazione il saggio Rome, Naples, opera and the 1720s in Rome, che approfondisce le relazioni culturali e i rapporti di mecenatismo tra Napoli e Roma grazie agli intrecci politici e agli interessi economici, accolto nel volume intitolato Noble magnificence. Cultures of the performing arts in Rome, 1644-1740, cf. Goulet – Berti in corso di pubblicazione.

5 Per sostenere la concorrenza, il Teatro Capranica dal 1729 si affidò allora ad un impresario proveniente da Napoli: Antonio Mango (in contatto con Vinci dal 1719 relativamente alla rappresentazione a Napoli di Lo Cecato Fauzo).

6 Su Leonardo Vinci la bibliografia più recente annovera i contributi di Markstrom 2007 e 2001; Veneziano 2016 e 2019. Nel 2004 un convegno italiano dedicato a Vinci ha prodotto il volume Pitarresi 2005.

7 Sul sodalizio artistico Metastasio/Vinci si vedano gli studi Armellini 2004, 2005. Si segnala inoltre Sala Di Felice – Caira Lumetti 2001 e Chegai 2018.

8 Artaserse 1730 (Libretto in I-Fm, Mel.2267.12; I-Vgc, ROL.0650.08; I-Rn, 35.10.A.7.1. Partiture in I-Vn, CII.2.* = It. IV, 244-246; A-Wn, Coll. Kiesewetter, SA.68.C.24; A-Wn, Mus. 19120). Non si conserva l’autografo (cf. Strohm 1976, p. 233-234 per le fonti superstiti). Incisioni delle scenografie in Metastasio 1781. La fonte storica di Artaserse è costituita dalle Historiae Philippicae di Pompeo Trogo compilata da Marco Giuniano Giustino (II-III secolo), libro III, cap. I, oltre alla conoscenza di Le Cid (1636) di Pierre Corneille. Tra le sinossi disponibili segnalo quella di De Van 1998.

9 Veneziano 2019.

10 Sul patronage degli Stuart all’Alibert vedasi Blichmann 2019b, oltre al suo saggio in questo stesso volume, Effetti scenografici e macchine spettacolari nelle “performance” pubbliche nella Roma del primo Settecento. Di riferimento sul ruolo degli Stuart nel panorama culturale romano è il lavoro di Corp 2011, oltre al più specifico Corp 2005.

11 Prima messa in musica assoluta e termine di confronto per molti altri compositori che musicarono il testo di Metastasio (tra cui Hasse – a Venezia pochi giorni dopo la première romana –, Galuppi, Gluck, Sarti, Cimarosa, Sacchini e molti altri), l’opera di Vinci è stata oggetto di culto già durante il XVIII secolo: nelle sue Mémoires Grétry considerava l’aria di Arbace «Vo solcando un mar crudele» un vero e proprio must del genere, tanto da proporre che una statua di Vinci fosse collocata nel Pantheon (cf. Grétry 1789). E ancora, il musicofilo ed erudito napoletano Mattei, anche se di parte, asseriva in La filosofia della musica (Mattei 1779, p. 304): «come è possibile che uno scriva Vo solcando un mar crudele dopo Vinci […] Uno Stabat mater dopo Pergolesi?». Se, dopo la morte di Vinci, quest’aria divenne simbolo della musica prodotta a Napoli, evidentemente il ruolo che l’Alibert e la sua gestione artistica giocarono, nella storia dello spettacolo del Settecento, iniziano solo adesso a trovare una giusta collocazione.

12 Presso l’Archivio del Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta, sono conservati, relativamente al secondo decennio del secolo, i libri contabili dal 1722 al 1730, con lacune dal 1724 al 1725 (Anno Santo).

13 Per un riassunto delle alterne vicende legate alle varie gestioni dell’Alibert cf. Veneziano 2019, p. 170. Dall’agosto 1728 al maggio 1730 i nomi dei comproprietari dell’Alibert sono ridotti a sei e risultano essere: Antonio Vaini (priore dell’Ordine di Malta), Filippo Vaini, Paolo Maccarani, Ferdinando Alessandro Minucci, Benedetto Rita e Giacomo de Romanis. Tra i privilegi acquisiti dai consoci per diritto, la possibilità di entrare in teatro al di fuori delle rappresentazioni e di affittarlo per l’organizzazione di feste private (ma questo dopo gli anni ’40 del secolo).

14 Ristretto degli Istrumenti verificanti la provenienza del Teatro d’Alibert ora detto Delle Dame ne Signori presenti Consoci (28 novembre 1725), in I-Rasc, Archivio Maccarani, b. 52.

15 Intorno alle modalità di scritturazione artistica si legga anche Oriol 2016.

16 Diario ordinario, Roma, Chracas, 1730, n° 1954, p. 2-3. A seguire (p. 3-4), luoghi («Teatro alli Granari», Collegio Clementino, Nazareno e Capranica, Seminario Romano) e titoli di tragedie e commedie, anche specificando la presenza di intermezzi musicali. In I-Rc, Per.est.358, fasc. n° 1954, p. 2-3 (scheda PerformArt D-006-802-280).

17 Valesio 1977-1979, vol. 4, 21 febbraio 1730, p. 179. Ed. sul documento originale in I-Rasc, Archivio della Camera Capitolina, Credenzone XIV, b. 18, c. 110r (scheda PerformArt D-118-850-181, firmata da Maria Borghesi e Antonella Fabriani Rojas).

18 Diario ordinario, Roma, Chracas, 1730, n° 1960, p. 4.

19 Questo modus operandi fa pensare agli attuali contratti teatrali, laddove in caso di interruzione della recita il cachet dei cantanti rimane invariato qualora si porti a termine almeno tutto il primo atto di un’opera. È azzardato, ma affascinante, ipotizzare che gli spettatori volessero ascoltare l’attesa aria «Vo solcando un mar crudele» che chiude effettivamente l’atto I dell’opera. Ad ogni modo, è molto difficile stimare la durata dell’intera rappresentazione (oltre a non trovare riscontro sull’esistenza di eventuali intermezzi): nella realizzazione moderna citata oltre (n. 43) Artaserse ha contemplato, per la scelta dei tempi optata dagli interpreti, circa 3 ore e mezzo.

20 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 421, c. 62sx (scheda PerformArt D-007-250-129).

21 Ad esempio si vedano le registrazioni per le precedenti stagioni in: I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 421, c. 37sx (scheda PerformArt D-000-721-932). Ogni specifica relativa a tutte le tipologie di pagamenti per le opere alibertiane sono contenute nei libri contabili citati. Si rimanda alla consultazione del database per una informazione esaustiva con la specifica di tutte le uscite collegate ai pagamenti.

22 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, Libro Mastro A, Dall’anno 1725 a tutto l’anno 1729, c. 89sx.

23 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 423, c. 57.

24 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 421, Libro Mastro A, c. 58sx (ed. nella scheda PerformArt D-000-691-959).

25 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, Libro Mastro B 1730, s.b., c. 41dx. La situazione finanziaria dell’Alibert era sempre al limite del fallimento. Sono continui i riferimenti ad emergenze economiche e a tentativi di tamponare investimenti di difficile gestione. Tuttavia, i libri contabili, portando periodicamente un rapporto di bilancio esatto tra entrate e uscite, perseguendo un principio di pareggio che oggi paragoneremmo a quello di una associazione no-profit, non aiutano a chiarire la gestione. In un foglietto aggiunto volante dello stesso volume (tra c. 90sx e dx), datato 3 maggio 1732, il finanziere e consocio del teatro Ferdinando Alessandro Minucci avvisa di un falso prestito all’impresario Cavanna, in caso di controlli più approfonditi: «Dichiaro il Infrascritto, che quantunque il Sig. Francesco Cavanna affituario del Teatro detto delle Dame abbia sotto questo giorno a favor mio sottoscritta una ricevuta di scudi milledugentosessantacinque con cinquanta per contributione dovutali da Sig.ri Compadroni di detto Teatro per le prossime future recite di Primavera, tuttavia la verità è, che io sottoscritto non ho pagato al medesimo alcuna somma per detti scudi 1265.50, perciò gliene dovevo render ragione fra conti, che passano tra me sotto et il detto Sig. Cavanna […]».

26 Non sono registrati i pagamenti agli Inventori, ed Ingegneri delle scene Giovanni Battista Oliviero e Pietro Orte e all’Inventore delli balli Pietro Gugliantini, virtuoso della Serenissima Gran Principessa di Toscana, come da cartellone della rappresentazione di Artaserse.

27 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, Libro Mastro A, Dall’anno 1725 a tutto l’anno 1729, c. 61sx. Molto più capillare la documentazione relativa ad opere rappresentate negli anni precedenti. Ad esempio, per la Didone sempre di Vinci/Metastasio, si registrano pagamenti per le carrozze, candelieri e vino al servizio dei cantanti, ma anche una curiosa uscita di 3 scudi per 30 messe “basse” in onore di S. Antonio Abate.

28 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 423, Entrata/Uscita 1730/1737, c. 132sx: spesa registrata l’11 luglio 1730. Non sappiamo se si tratti di Antonio Giuseppe Angelini, copista di professione romano tra l’altro di casa Ruspoli, Colonna e Ottoboni (censito in 39 schede in Clori, archivio della cantata italiana (http://cantataitaliana.it/) e identificato negli studi handeliani di Kirkendale 1967.

29 Allo stato attuale della ricerca mancano però per il 1730, a differenza degli anni precedenti, riferimenti nella contabilità utili alla ricostruzione di costumi, scenografie (di Giovanni Battista Oliviero e Pietro Orte, come da libretto) e balli (curati da Pietro Guglielmini).

30 Sono da segnalare la presenza del virtuoso violoncellista e compositore Giovanni Battista Costanzi (1704-1778), in quell’anno già al servizio di Pietro Ottoboni, i nomi di almeno tre musicisti, i contrabbassisti Giovanni Travaglia, Bartolomeo Cimapane e il trombettista Lodovico Vacca, che coincidono con quelli di musicisti attivi a Roma a fine ’600 nella cerchia dei Colonna (Mischiati 1983), e i nomi dei violinisti Giovanni Mossi e Domenico Gherarducci attivi presso i Borghese (Della Seta 1983, p. 195). Molti di loro, inoltre, risultano affiliati alla Congregazione di S. Cecilia (Rostirolla 1984).

31 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 434, Libro Mastro D 1729, c. 78. Colpisce la presenza di famiglie di musicisti (musicisti con lo stesso cognome – non possiamo sapere se fratelli o padre e figlio o zio e nipote –) che si occupano degli stessi strumenti, come i violinisti/violisti Giovanni, Bartolomeo (in anni precedenti) e Giuseppe Mossi e gli oboisti Benedetto e Giuseppe Micheli.

32 Sono presenti musicisti da me individuati nei libri contabili e già registrati all’Alibert in anni precedenti, ma anche professionisti che permarranno nelle stagioni a venire (Antolini – Gialdroni 1996, p. 141-142).

33 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 421, c. 37, ed. nella scheda PerformArt D-000-721-932.

34 In I-Rasc sono depositate ad esempio le cause condotte a tale riguardo dal notaio del teatro, Francesco Saverio Simonetti (Sez. 8, Prot. da 59 a 63). Per esempi e analogie con altri teatri, uno romano e uno veneziano, si veda, rispettivamente, Natuzzi 1999 e Saunders 1985. Imprescindibile, per il periodo immediatamente precedente e relativo ai palcoscenici veneziani, la lettura di Glixon – Glixon 2006. Inoltre si veda il saggio congiunto di Della Libera – Domínguez 2012.

35 Tra i tanti, citiamo il documento in I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, Libro Mastro del Teatro delle Dame A, Dall’anno 1725 a tutto l’anno 1729, c. 28dx, riferito al 1726, in cui si registra un complicatissimo accordo tra i Ruspoli (Francesco Maria), che inizialmente avevano diritto ai palchetti n. 17 per 5 ordini (contemplati nella compravendita della struttura del teatro per la somma di 3000 scudi), e i consoci del teatro, con i quali erano scesi a patto ottenendo il diritto di possedere due palchetti e mezzo a fronte di 15 scudi annui, qualora però si facessero le recite. Corrispondenze a questo patto si trovano in V-CVaav, Archivio Ruspoli-Marescotti, Giustificazioni di Roma, b. 83, f. 18 (scheda PerformArt D-001-932-201).

36 Pöllnitz 1734, p. 302 e Lalande 1765-1767, vol. 6, p. 162.

37 Tamburini 1996. Secondo invece la specificazione delle quote riscosse nei libri contabili il numero dei palchetti suscettibili di affitto arriva a 33: dunque la capienza oscilla da 822 (33 palchetti per sei ordini) a 1758 spettatori (36 palchetti). Gli ultimi due palchetti, i più vicini al palco (oggi denominati “barcaccia”, venivano identificati non da un numero ma dalle lettere “A” e “B”, per ciascuno degli ordini. Risultano spesso utilizzati dalle famiglie dei possessori del teatro stesso. Si confrontino gli spazi con il San Giovanni Grisostomo in Saunders 1985, p. 9.

38 Tamburini 1996, p. 243-260: alla fig. 27 è pubblicato il progetto di Bibiena del nuovo Teatro Alibert (1719), conservato in I-Ras, 30 not. cap., Uff. 9 (Perugini), fasc. 611, c. 505. In relazione all’architettura dei teatri, vorrei segnalare lo studio di Rotondi 1987 sul Tordinona.

39 Tamburini 1996, p. 255, dove l’autrice specifica che «la trasgressione è solo apparente: il pubblico non è ammesso al “segreto” delle meraviglie, né durante il passaggio né dal palchetto, troppo arretrato per questo; e le scale, perdendo ogni significato ideologico, hanno solo una funzione decorativa, oltre che utilitaria».

40 I-Rasmom, Ricetta di Roma, Teatro Alibert, b. 434, Libro Mastro D 1729, c. 73.

41 Incuriosiscono le diverse modalità, tutte rigorosamente annotate nei libri contabili, che gli affittuari utilizzavano per pagare l’affitto dei palchetti: alcuni mandavano il maestro di casa per un pagamento in contanti, altri loro familiari o “ministri”, altri attraverso un deposito nel Monte di Pietà, altri ancora andavano personalmente. Anche il cantante Giovanni Ossi, protagonista di Artaserse come di altre opere all’Alibert, pagava una quota per l’affitto di un palchetto. Possiamo immaginare che fosse per uso personale (per ospiti nel caso fosse impegnato nella performance) oppure per Casa Borghese, per la quale lavorava (I-Rvic, Parrocchia di S. Lorenzo in Lucina, Stati delle Anime, b. 20, cc. 112v-115v: scheda PerformArt D-000-802-248).

42 Questo aspetto sarà oggetto di un approfondimento intorno all’uso del materiale compositivo destinato alle rappresentazioni teatrali romane in situazioni performative private, legate alle fasi precedenti le recite (prove) ma anche a quelle successive (utilizzazione di parti d’opera che avevano riscosso particolare successo). Riflessioni anche in Della Seta 1983, con documenti a p. 195, 197, 199.

43 Preziosa per una consapevole ricostruzione moderna, la conoscenza della prassi performativa del tempo amplificherebbe lo spessore delle più interessanti proposte sul mercato di esecuzione critica. Segnaliamo la ripresa di Artaserse in tempi moderni, produzione dell’Opéra National de Lorraine – Nancy (2012), a cura di Diego Fasolis con il Concerto Köln, Franco Fagioli e Philippe Jaroussky (DVD Warner Music Ent., 2012 e CD Erato).

Table des illustrations

Titre Fig. 1 – Artaserse, I, 1: «Giardino interno nel palazzo del Re di Persia, corrispondente ai varj appartamenti. Vista della Reggia. Notte con luna» (ed. Zatta, Venezia 1781, vol. 1, p. 9), copia in I-Rn, 37.41.A.1.
Légende Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo – Biblioteca nazionale centrale di Roma.
URL http://books.openedition.org/efr/docannexe/image/17112/img-1.jpg
Fichier image/jpeg, 180k

Auteur

École Française de Rome – Conservatorio di musica “S. Pietro a Majella” di Napoli – giuliaveneziano@gmail.com

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