L’asse dello stress: fisiologia e regolazione neuroendocrina

La fisiologia del sistema dello stress trova le sue basi in meccanismi neuroendocrini che coinvolgono circuiti neuronali centrali e periferici in interazione con il sistema endocrino, immunitario e metabolico nonché quello psichico. Fattori genetici, ambientali e di sviluppo concorrono a modulare tale sistema, a renderlo più o meno performante a eventi stressogeni e a determinare una vulnerabilità o piuttosto una resistenza biologica allo sviluppo di condizioni patologiche, tra cui le malattie metaboliche croniche (obesità, diabete mellito) e alcune malattie mentali quali la depressione.

Attraverso l’interferenza e l’influenza sulle principali funzioni fisiologiche quali la crescita, il metabolismo, la riproduzione, la competenza immunitaria – nonché il comportamento psichico e lo sviluppo della personalità – lo stress modula e influenza la vita dell’organismo nelle sue diverse fasi evolutive. La vita prenatale, l’infanzia e l’adolescenza sono periodi critici nel processo di formazione e maturazione della risposta adattiva allo stress, periodi caratterizzati, infatti, da un’elevata plasticità del sistema dello stress ma contemporaneamente da una peculiare vulnerabilità ai fattori stressogeni [1, 2].

Il sistema dello stress è costituito da componenti centrali e periferiche e componenti nervose e ormonali (Fig. 1). La componente ormonale comprende in modo semplificato i nuclei ipotalamici paraventricolari ricchi di neuroni che secernono ormone di rilascio della corticotropina (CRH) e arginin-vasopressina (AVP), le cellule ipofisarie corticotrope secernenti l’ormone adrenocorticotropo (ACTH) e la ghiandola surrenalica secernente cortisolo. La componente nervosa è costituita dai nuclei ipotalamici parvocellulari strettamente collegati ai nuclei collocati nel midollo spinale, nell’area del ponte e della medulla. Questi nuclei definiscono un’area chiamata locus coeruleus ricca di neuroni secernenti noradrenalina. Dal locus coeruleus origina una segnalazione che, tramite il sistema nervoso simpatico, giunge a stimolare la midollare del surrene e la secrezione di adrenalina, noradrenalina e dopamina in quantità variabile secondo un ordine decrescente. Al tempo stesso, dai nuclei paraventricolari ipotalamici origina un’innervazione verso il nucleo arcuato, area cerebrale ricca di neuroni che producono proopiomelanocortina (POMC) dalla cui attivazione origina l’incremento di endorfine con azione analgesica e di inibizione del rilascio di CRH (Fig. 1).

Fig. 1
figure 1

Rappresentazione grafica dell’interazione del sistema immunitario, tramite le citochine infiammatorie, con l’asse dello stress. \(LC\)/\(NC\), locus caeruleus/neuroni noradrenergici

Il CRH ipotalamico e la noradrenalina prodotta dal locus coeruleus si stimolano altresì reciprocamente con un meccanismo di feedback positivo.

L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, a sua volta, è autoregolato mediante l’azione esercitata dal cortisolo stesso e mediante l’attivazione di recettori specifici espressi a livello ipofisario, ipotalamico e in altre aree del SNC che consentono l’attivazione o l’inibizione (feedback negativo) dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) a seconda dei livelli circolanti di cortisolo. I recettori per i glucocorticoidi – tipo I per i mineralcorticoidi (MR), e tipo II per i glucocorticoidi (GR) – presentano caratteristiche peculiari. In particolare, i recettori GR e MR regolano l’espressione genica di varie molecole in accordo alla potenza trascrizionale e in relazione al tipo di recettore, al tipo cellulare, all’espressione tessuto-specifica, e ai ligandi specifici (cortisolo \(vs\) aldosterone) [3]. Ad esempio, i recettori MR mostrano un’affinità 10 volte superiore per il cortisolo rispetto ai recettori GR; pertanto, risultano già occupati in presenza di livelli basali di cortisolo mentre i recettori GR risultano gradualmente occupati in presenza di livelli sovra basali di cortisolo, ad esempio in concomitanza del picco circadiano o in condizioni di stress acuto. È interessante notare che, mentre i recettori GR sono espressi in tutto il SNC, i recettori MR sono espressi perlopiù nelle aree limbiche coinvolte nei processi cerebrali delle emozioni, dell’arousal e della memoria (ippocampo, amigdala, corteccia prefrontale) esercitando un tono inibitorio sulla secrezione di cortisolo [4].

Le componenti del sistema dello stress interagiscono, inoltre, con numerosi altri nuclei del SNC e sistemi neuromodulatori, come il sistema mesocorticale e il sistema dopaminergico mesolimbico, coinvolti nei processi di gratificazione e di motivazione, o come il nucleo centrale dell’amigdala, coinvolto nella generazione della paura e della rabbia, o ancora come il sistema endocannabinoide, coinvolto nella regolazione dei processi cognitivi e nel recupero metabolico dello stress e, infine, come il sistema nervoso di regolazione del sistema circadiano, coinvolto nell’organizzazione temporale dei processi fisiologici [1].

Stress, asse HPA e differenze sesso-specifiche

Come descritto nel paragrafo precedente, l’asse HPA rappresenta uno dei principali sistemi endocrini di regolazione della reazione dello stress con caratteristiche sesso-specifiche. Queste differenze si diramano lungo l’intero arco della vita, dall’età prepuberale (con i livelli salivari basali di cortisolo più elevati nei bambini rispetto alle bambine) all’età postpuberale (con i livelli salivari di cortisolo più elevati nelle ragazze rispetto ai ragazzi) [5], scenario che permane in età adulta [6]. Un dimorfismo di tipo sesso-specifico è rilevabile non solo nei livelli di cortisolo basale ma anche nei livelli di cortisolo in contesti di stress, con differenze a loro volta dipendenti dalla natura dell’evento stressante (ad esempio, acuto verso cronico). In uno studio su 20 uomini e 20 donne sottoposti a stress acuto di tipo psicologico (Trier Social Stress Test, TSST, e Iowa Singing Social Stress Test, ISSST, entrambi test validati in grado di indurre una reazione di stress in individui umani), i livelli di cortisolo salivare post-stress erano aumentati nella quasi totalità degli uomini (90%), mentre solo nel 25% delle donne. Inoltre, anche analizzando la percentuale di soggetti con variazione nei livelli di cortisolo, gli autori hanno evidenziato un aumento maggiore di cortisolo negli uomini rispetto alle donne [7].

In condizioni di stress cronico invece, Palumbo e collaboratori hanno analizzato comportamenti simil-ansiosi e simil-depressivi in un modello animale di “stress cronico non prevedibile” (chronic unpredictable stress, CUS). In questo studio, la presenza di una resistenza ai glucocorticoidi e quindi un ridotto feedback negativo, è stata riscontrata unicamente nelle femmine [8]. È interessante notare, inoltre, che la risposta dimorfica nei due sessi sia ulteriormente differenziata in relazione al tipo di stimolazione stressogena (farmacologica o psicologica). Ad esempio, gli uomini presentano livelli di ACTH e cortisolo significativamente maggiori rispetto alle donne in un contesto di stress psicologico (TSST), mentre le donne esibiscono una risposta ormonale al naloxone (un antagonista non-selettivo del recettore oppioide che induce un aumento dei livelli di ACTH e di cortisolo) maggiore rispetto agli uomini [9]. È complesso delineare chiaramente le caratteristiche sesso-specifiche intrinseche in questa differente risposta. Un modello di risposta dimorfica potrebbe associarsi a differenze localizzate negli snodi principali di quest’asse, come ad esempio differenze sesso-correlate negli elementi regolanti la disponibilità di cortisolo/corticosterone, nell’espressione dei recettori dei glucocorticoidi, e nella concentrazione sierica di globulina legante i corticosteroidi (CBG) che risulta essere maggiore nelle femmine rispetto ai maschi [10].

Nel dimorfismo sessuale della regolazione dell’asse dello stress, un ruolo determinante è esercitato dall’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi (HPG), modulato a sua volta dallo stress stesso. L’azione degli ormoni sessuali esercita effetti sia inibenti che facilitanti l’asse dello stress. Ad esempio, l’estradiolo sembra avere un effetto eccitatorio sull’asse HPA, aumentando i livelli di CBG, favorendo il rilascio di cortisolo nel siero e incrementando la sensibilità del surrene all’ACTH. Il testosterone si caratterizza, altresì, per un’azione principalmente inibitoria, portando alla diminuzione dei livelli di cortisolo basale. In condizioni di stress, si può verificare infine una condizione di ipogonadismo centrale che si manifesta chiaramente nel sesso femminile con lo sviluppo di oligomenorrea sino all’amenorrea, può instaurarsi precocemente specie in condizioni di carenza energetica, iperattività fisica e/o sovraccarico psico-fisico e conduce al quadro clinico dell’amenorrea da stress, condizione conosciuta tra le donne atlete come amenorrea dell’atleta [11].

Disregolazione dell’asse dello stress, stress cronico e infiammazione

Nel contesto della risposta adattativa allo stress, i glucocorticoidi esercitano principalmente effetti metabolici catabolici come parte di uno sforzo generalizzato per utilizzare ogni risorsa energetica disponibile contro gli stressor imposti. Pertanto, i glucocorticoidi aumentano la gluconeogenesi epatica e i livelli plasmatici di glucosio, inducono la lipolisi (sebbene favoriscano l’accumulo di grasso addominale e dorso-cervicale) e causano la degradazione proteica in più tessuti (muscoli scheletrici, ossa e cute) per fornire aminoacidi che possono essere utilizzati come substrato aggiuntivo per le vie ossidative [2]. Parallelamente alle loro azioni cataboliche dirette, i glucocorticoidi antagonizzano anche le azioni anaboliche dell’ormone della crescita, dell’insulina e degli steroidi sessuali sui loro organi/tessuti bersaglio [2, 12].

Accanto agli effetti metabolici di tipo glicidico, lipidico e proteico i glucocorticoidi esercitano importanti effetti genomici neurotrofici a livello del SNC. L’azione dei glucocorticoidi si esplica anche attraverso un’azione non genomica, di modulazione dell’eccitabilità di membrana neuronale favorendo l’attività rapida di alcune popolazioni neuronali. Un’esposizione eccessiva o inadeguata di cortisolo nel cervello può determinare un danno neuronale a carico di alcune aree più sensibili quale l’ippocampo favorendo lo sviluppo di alterazioni della memoria e dell’affettività come si osserva in corsi di alcune malattie mentali come la depressione.

Alla luce di questo, un’attivazione cronica dell’asse HPA, o un’alterata autoregolazione dello stesso, può indurre e predisporre lo sviluppo di una serie di effetti dannosi, metabolici corporei e psichici, includenti l’aumento dell’adiposità viscerale, la soppressione dell’attività osteoblastica, la diminuzione della massa magra, la sarcopenia, l’osteopenia e l’insulino-resistenza, condizioni che complessivamente caratterizzano l’obesità e la sindrome metabolica [2, 12], oltre alla degenerazione e al depauperamento neuronale in alcune aree del SNC favorenti lo sviluppo di alterazioni neurocognitive e della depressione.

Una delle conseguenze più note e studiate negli ultimi decenni è lo sviluppo di uno stato infiammatorio associato allo stress persistente. Generalmente, il cortisolo ha un’azione di tipo inibitorio nei confronti delle cellule del sistema immunitario e, quindi, un ruolo rilevante nell’equilibrio citochinico pro-/antinfiammatorio (Fig. 1) in un contesto di influenza reciproca tra citochine e asse HPA (le citochine promuovono il rilascio di ACTH e cortisolo). In condizioni di stress cronico, questo equilibrio viene meno e si crea uno scenario caratterizzato da resistenza ai glucocorticoidi e, conseguentemente, un aumentato rischio di risposte infiammatorie eccessive.

Uno stato infiammatorio cronico è associato a perturbazioni di vie collegate alla comparsa di sintomi psichiatrici (come sintomi depressivi) e metabolici (obesità). Ad esempio, la via del triptofano in condizioni di infiammazione sistemica, porta a un incremento della produzione di chinurenina e una ridotta sintesi della serotonina (5-HT). Questa alterazione è stata individuata sia in pazienti con depressione [13] che in pazienti con obesità [14]. L’infiammazione, quindi, diventa il ponte tra stress cronico e lo sviluppo di malattie collegate allo stesso, come le malattie cardiovascolari (es. ipertensione), le malattie metaboliche (obesità e diabete), le malattie psichiatriche (es. depressione) e talune malattie oncologiche. Vista la sua prominenza transdiagnostica, è essenziale capire le dinamiche che portano allo sviluppo di uno stato infiammatorio cronico e come questo si traduca in malattia. Questo faciliterà l’identificazione e lo sviluppo di terapie mirate. Vi è oggi evidenza del ruolo di farmaci ad azione antinfiammatoria, come la minociclina (un antibiotico con azione antinfiammatoria) nel trattamento della depressione, in particolare in pazienti con depressione resistenti al trattamento convenzionale e con livelli aumentati di proteina C reattiva (PCR ≥3 mg/L) [15].

Stress, obesità e diabete

L’omeostasi metabolica è influenzata centralmente dalla diafonia neuroendocrina tra i componenti del sistema centrale dello stress, l’asse HPA e i centri del SNC che controllano l’equilibrio appetito/sazietà e il dispendio energetico. È un’osservazione comune che le situazioni stressanti acute siano frequentemente associate a un atteggiamento anoressizzante e alla marcata restrizione dell’introito calorico. Infatti, il CRH stimola i neuroni POMC del nucleo arcuato che, tramite il rilascio di \(\alpha \)-MSH, suscitano segnali anoressigenici e aumentano la termogenesi. Gli effetti anoressizzanti del CRH sembrano coinvolgere il setto laterale o il nucleo del letto della stria terminale e sono probabilmente mediati dai recettori CRH-R2 [16].

Alterazioni ormonali nella segnalazione dell’appetito si osservano in quadri patologici come quello dell’obesità, condizione in grado di sfavorire il controllo alimentare, specialmente di cibi molto appetibili/palatabili. L’iperattività dell’asse HPA comporta, infatti, un profilo ormonale oressizante, ma anche processi metabolici dannosi e disturbi dell’umore. Questi disturbi possono, a loro volta, promuovere un ulteriore aumento di peso e generare, così, un circolo vizioso.

L’associazione tra stress cronico e ipercortisolismo, mediante l’attivazione dell’infiammazione cronica, rappresenta la condizione predisponente lo sviluppo della sindrome metabolica con un incremento del rischio cardiovascolare. In studi sugli animali, è stato dimostrato che l’attivazione dell’asse HPA indotta dallo stress cronico e il conseguente ipercortisolismo è in grado di provocare obesità viscerale, insulino-resistenza e soppressione della secrezione di GH promuovendo, quindi, lo sviluppo del fenotipo della sindrome metabolica (fisica e biochimica). Risultati simili sono stati documentati negli esseri umani in cui i dati epidemiologici suggeriscono forti associazioni tra l’esposizione allo stress cronico e la malattia metabolica. A sostegno di ciò, l’iperattivazione cronica dell’asse HPA in individui con una predisposizione genetica esposti a un ambiente permissivo può portare all’accumulo di grasso viscerale e alla diminuzione della massa magra (massa muscolare e ossea) come risultato dell’ipercortisolismo cronico e della bassa secrezione di GH indotta dallo stress e dall’ipogonadismo [1, 17]. Inoltre, l’ipercortisolismo può causare direttamente insulino-resistenza negli organi/tessuti bersaglio periferici; tale insulino-resistenza sembra essere proporzionale sia ai livelli di glucocorticoidi sia alla sensibilità ai glucocorticoidi, come suggerito da studi sui polimorfismi del gene del recettore dei glucocorticoidi. Si genera, di conseguenza, un’ipersecrezione compensatoria di insulina e un ulteriore aumento dell’obesità viscerale e della sarcopenia, con il possibile sviluppo di diabete mellito di tipo 2, dislipidemia e ipertensione arteriosa [1, 17].

Come già riportato, lo stress cronico si associa a uno stato infiammatorio di basso grado proporzionale all’accumulo di grasso, soprattutto viscerale [18]. I soggetti con obesità mostrano tipicamente un aumento dei livelli circolanti di adipochine e citochine pro-infiammatorie (es. leptina, resistina, fattore di necrosi tumorale (TNF)-\(\alpha \) e interleuchina (IL)-6) e livelli ridotti di adipochine antinfiammatorie (es. adiponectina e omentina), con un profilo adipochinico avverso che è fortemente correlato alle manifestazioni della sindrome metabolica [18]. La sintesi delle citochine infiammatorie da parte dei macrofagi nel tessuto adiposo è mediata dall’attivazione di due vie intracellulari infiammatorie, nello specifico di c-Jun N-terminal kinase (JNK)-activating protein 1 (AP1) e I Kappa B kinase beta (IKK)-nuclear factor kappa-activated B-cell light chain-enhancer (NF-kB). Quest’ultimo a sua volta è attivato dalle stesse molecole coinvolte nello sviluppo dell’insulino-resistenza, includenti reactive oxygen species (ROS), acidi grassi saturi e citochine infiammatorie (Fig. 2) [19].

Fig. 2
figure 2

Relazione tra asse dello stress, infiammazione, obesità e diabete mellito

Lo stress infiammatorio cronico correlato all’obesità può pertanto condurre a una serie di effetti dannosi su molti tessuti e organi periferici tra cui fegato, muscoli scheletrici e sistema cardiovascolare, promuovendo la secrezione di reagenti della fase acuta (ad esempio fibrinogeno e PCR), di insulino-resistenza, di ipertensione arteriosa, ipercoagulabilità, aterosclerosi, trombosi e disfunzione cardiaca [18]. L’iperinsulinemia associata all’obesità contribuisce, inoltre, allo stato di resistenza alla leptina che caratterizza tale condizione. Anche l’aumento dell’attività del sistema simpatico surrenale LC/NE contribuisce allo sviluppo della ridotta tolleranza al glucosio e al rischio aumentato di eventi cardiovascolari acuti (es. ictus) [20] associati allo stress cronico e alla sindrome metabolica/obesità.

Anche l’attività globale dell’enzima 11b-idrossisteroido deidrogenasi tipo 1 (11\(\beta \)-HSD1), misurata dall’analisi del metabolita dei corticosteroidi urinari, è compromessa nell’obesità, mentre gli inibitori selettivi di 11\(\beta \)-HSD1 sono in fase di sviluppo come nuovi approcci terapeutici per l’obesità [21].

Va menzionato, infine, che i disturbi da stress cronico mostrano una forte correlazione con una serie di cambiamenti comportamentali, in grado di influire negativamente su alcune abitudini di vita. Ad esempio, favorendo uno stile di vita sedentario e una riduzione delle ore di sonno, contrastando abitudini alimentari sane (ad esempio inducendo un’alimentazione eccessiva o incontrollata e aumentando il consumo di alcol) e determinando, in ultimo, una condizione di progressivo incremento di peso sino all’obesità, al diabete e alla dislipidemia.

Stress e depressione maggiore: disfunzioni neuroendocrine e metaboliche

La depressione maggiore (MDD) si associa ad alterazioni dell’umore, del livello di energia, e della motivazione. Alterazioni a carico dell’asse dello stress e dell’asse HPA sono ampiamente descritte in soggetti affetti da depressione, spesso precedono l’esordio del disturbo depressivo e contribuiscono alla patogenesi. In una recente metanalisi indagante la depressione maggiore e il ruolo del cortisolo, un livello mattutino elevato (ma non serale) di questo ormone risulta essere prodromico alla depressione in adolescenza e nella prima età adulta [22]. Inoltre, la metanalisi di Zhang e collaboratori, incentrata sulle alterazioni del ritmo circadiano, ha evidenziato come un più elevato picco mattutino al risveglio possa aumentare il rischio di sviluppare la depressione in soggetti giovani adulti [23]. Gli elevati livelli di cortisolo in pazienti con depressione sono in parte collegati a un’alterazione dei GR e alla conseguente disfunzione del feedback negativo dell’asse HPA – condizione nota come resistenza ai glucocorticoidi, come anticipato nel paragrafo precedente [24]. Elevati livelli di glucocorticoidi e un alterato feedback negativo possono essere entrambi associati a elevati livelli di biomarcatori infiammatori [25]. Evidenze meta-analitiche hanno confermato in individui con depressione unipolare, oltre alla presenza di un’iperattività dell’asse HPA, anche una maggiore neuroinfiammazione e una maggiore permeabilità della barriera ematoencefalica [26].

Anche nell’ambito della depressione, grande interesse oggi è posto al ruolo del sistema immunitario nella patogenesi del disturbo. Numerosi studi hanno dimostrato la presenza di elevati livelli di marker infiammatori in pazienti con MDD, quali PCR, TNF-\(\alpha \) e IL-6, IL-3, IL-12 e IL-18 [2731], i cui livelli risultano essere associati a una ridotta risposta al trattamento con farmaci antidepressivi [32]. In accordo vi sono alcuni dati che riportano nei pazienti con depressione resistenti al trattamento (TRD) livelli di biomarcatori infiammatori più elevati rispetto ai pazienti responder [28, 33, 34].

La comorbidità tra depressione e disturbi metabolici (quali l’obesità e il diabete) è stata riconosciuta come un’emergenza sanitaria a livello globale. L’obesità, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come un’epidemia globale, risulta essere spesso in comorbidità con la depressione, condividendo alcuni meccanismi patogenetici includenti proprio l’iperattività dell’asse HPA e l’infiammazione cronica. La relazione tra queste due condizioni è di tipo bidirezionale, sia per quanto concerne lo sviluppo che la progressione. Il 20% dei pazienti depressi risulta, infatti, essere affetto da obesità, e il 50% da sovrappeso [35]. Nello studio di McLaughlin e colleghi, i pazienti in sovrappeso (indice di massa corporea (BMI) ≥25 kg/m2) e depressi esibivano dei livelli di PCR più elevati non solo rispetto ai controlli sovrappeso, ma anche rispetto ai pazienti con depressione e normo-peso [36]. Diverse evidenze in letteratura indicano possibili meccanismi biologici condivisi tra queste due condizioni. Individui con depressione atipica nel corso della vita e con un BMI più elevato e ipersonnia (selezionati da UK Biobank) mostrano una predisposizione genetica per tratti immunometabolici, come l’incremento di PCR [37]. Inoltre, Milaneschi e colleghi riportano una forte correlazione tra le caratteristiche atipiche della depressione, come ipersonnia e iperfagia, e le disfunzioni immunometaboliche e suggeriscono la presenza di una specifica condizione di “depressione immunometabolica” [38]. Il grado di questa condizione metabolica sembra essere associato a una sintomatologia depressiva più accentuata. Infatti, individui con obesità grave (BMI ≥35 kg/m2) mostrano un rischio più elevato di depressione maggiore e tipicamente presentano sintomi depressivi più severi rispetto agli individui normopeso. I livelli di PCR, per di più, sono significativamente aumentati nei soggetti con obesità molto grave (BMI ≥40 kg/m2), mentre tutti gli individui obesi (indipendentemente dalla severità), presentano livelli aumentati di IL-6.

In generale, lo studio delle interazioni tra il sistema immunitario, i fattori metabolici e la depressione pone l’attenzione verso una medicina di precisione che potrebbe condurre a nuovi orizzonti nella terapia farmacologica dei disturbi psichiatrici, in particolare della depressione con comorbidità metabolica.

Conclusioni

Una risposta neuroendocrina e immunometabolica ottimale del sistema dello stress rappresenta un requisito essenziale per la sopravvivenza, l’adeguato sviluppo, la salute e il benessere dell’individuo. Lo stress cronico, insieme a una disregolazione dell’asse dello stress, possono danneggiare e compromettere la reattività neuroendocrina e favorire in soggetti biologicamente vulnerabili lo sviluppo di malattie metaboliche e mentali quali l’obesità, il diabete e la depressione.

Ancora oggi, nonostante l’aumento delle evidenze e delle conoscenze specifiche, vi è ancora un’attenzione limitata al ruolo e all’importanza del sistema dello stress in ambito scientifico e clinico, precludendo la possibilità di sviluppare e applicare nuovi approcci e metodi di gestione e management dello stress in un’ottica di promozione della salute, di prevenzione e cura delle malattie stress-correlate.