Introduzione

Dalle sue prime applicazioni agli inizi degli anni ’20 del secolo scorso, la terapia insulinica ha conosciuto avanzamenti tecnologici molto importanti, che hanno reso sempre più semplice ed efficace la somministrazione dell’insulina nelle persone con diabete. In particolare, la somministrazione continua di insulina nel tessuto sottocutaneo attraverso un microinfusore programmabile (CSII) consente un miglior controllo dei livelli plasmatici di insulina nell’arco delle 24 ore ed è associata a una riduzione dei valori di emoglobina glicata (HbA1c) e della frequenza delle ipoglicemie severe rispetto alla terapia multi-iniettiva (MDI) [1]. D’altro canto, l’avvento del monitoraggio in continuo del glucosio (CGM) ha rivoluzionato la cura del diabete, mettendo a disposizione del paziente e del medico una grande quantità di informazioni per la gestione quotidiana della patologia, con benefici sul controllo glicemico, sul rischio d’ipoglicemia e sulla qualità di vita. In effetti, recenti dati di real-life mostrano come l’uso di un sistema CGM rappresenti il singolo fattore più determinante per il successo della terapia del diabete di tipo 1 (DMT1), indipendentemente dalla modalità di somministrazione dell’insulina (MDI o CSII) [2]. Un ulteriore passo avanti è stato compiuto con l’integrazione tra CGM e CSII.

La sfida dell’automazione della somministrazione d’insulina

Sebbene il pancreas artificiale completamente automatico, che richiederebbe al paziente solo una minima interazione con i dispositivi, non rappresenti ancora una possibilità terapeutica disponibile sul mercato, sistemi microinfusore-sensore con un qualche grado di automazione della somministrazione di insulina sono disponibili già da alcuni anni per l’uso clinico (Fig. 1).

Fig. 1
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Evoluzione dell’automazione della somministrazione di insulina nei sistemi integrati microinfusore-sensore. SAP, Sensor Augmented Pump; LGS, Low Glucose Suspend; PLGS, Predictive Low Glucose Suspend; HCL, Hybrid Closed Loop; FCL, Full Closed Loop; RIC, Rapporto Insulina Carboidrati; FSI, Fattore di Sensibilità

I primi sistemi erano solo in grado di sospendere la basale del microinfusore al raggiungimento di livelli di glucosio pari o inferiori a una soglia predefinita (Low Glucose Suspend, LGS), con ripresa dell’erogazione di insulina su iniziativa del paziente o automaticamente dopo 2 ore di sospensione, indipendentemente dal livello di glucosio raggiunto. Studi condotti sia in ospedale che in contesti di vita reale hanno dimostrato che i sistemi LGS possono ridurre la severità e la durata degli episodi ipoglicemici. Nello studio ASPIRE In-Home, 247 pazienti adulti con DMT1 sono stati randomizzati a utilizzare un sistema integrato con o senza funzione LGS per 3 mesi. Nel primo gruppo è stata osservata una minor incidenza di tutti gli eventi ipoglicemici e una riduzione del 38% dell’area sotto la curva per gli episodi di ipoglicemia notturna, senza comportare un peggioramento della HbA1c [3]. Inoltre, uno studio randomizzato della durata di 6 mesi condotto su soggetti con ridotta consapevolezza dell’ipoglicemia ha dimostrato che l’uso di un sistema LGS può ridurre la frequenza delle ipoglicemie severe e moderate e il tempo trascorso con valori di glucosio <70 mg/dl. Durante lo studio non si sono verificati episodi di chetoacidosi diabetica e i pazienti hanno presentato un miglioramento della consapevolezza dell’ipoglicemia [4]. Con i sistemi LGS, la possibilità di prevenire un episodio di ipoglicemia dipende dalla soglia del glucosio basso che è stata impostata nel microinfusore. Infatti, se la soglia è troppo bassa, il paziente potrebbe comunque andar incontro a ipoglicemie per l’impossibilità del sistema a rilevare e trattare gli episodi più lievi, se invece è troppo alta, il paziente potrebbe andare incontro a stress da allarmi non necessari o anche a episodi di iperglicemia per sospensione inappropriata dell’insulina.

Per ridurre ulteriormente il numero e la durata degli episodi di ipoglicemia, sono stati quindi sviluppati sistemi in grado di interrompere l’erogazione di insulina basale già alcuni minuti prima che sia raggiunto il valore soglia del glucosio basso, indipendentemente dalla glicemia del momento, con ripresa automatica dell’erogazione di insulina quando cambia il trend (Predictive Low Glucose Suspend, PLGS). In uno studio randomizzato e controllato condotto su 45 pazienti di età compresa fra 15 e 45 anni, con un sistema non commercializzato in cui un CGM e un microinfusore erano posti in comunicazione attraverso un computer portatile, nelle notti in cui la funzione PLGS era attiva rispetto a quelle in cui non lo era è stata osservata una riduzione dell’81% dell’area sotto la curva per ipoglicemia e una riduzione del 70% del tempo trascorso con valori di glucosio <60 mg/dl [5]. Uno studio retrospettivo condotto su 24 adulti e 16 bambini ha successivamente mostrato che l’attivazione della funzione PLGS può evitare gli episodi di ipoglicemia lieve, moderata e severa senza aumentare significativamente il rischio di iperglicemia [6].

I sistemi ibridi ad ansa chiusa

I sistemi LGS e PLGS sono sicuri ed efficaci nel ridurre l’ipoglicemia, ma non aiutano il paziente nella gestione dell’iperglicemia. I più recenti sistemi cosiddetti “ad ansa chiusa” sono dotati di algoritmi più sofisticati, in grado di modulare in tempo reale la somministrazione di insulina attraverso il microinfusore, aumentandola o riducendola sulla base dei livelli di glucosio misurati dal sensore, con l’obiettivo di raggiungere un valore (approccio treat to target) o un intervallo glicemico (approccio treat to range) di riferimento.

I sistemi ad ansa chiusa attualmente disponibili in commercio sono tutti sistemi ibridi (Hybrid Closed Loop, HCL), richiedono cioè l’intervento attivo del paziente al momento del pasto e in caso di esercizio fisico, e si distinguono per i componenti del sistema, la tipologia di algoritmo e i parametri di funzionamento che possono essere modificati dall’utilizzatore (Tabella 1). L’algoritmo di controllo può essere incorporato nella pompa, in un dispositivo palmare dedicato o in una applicazione per Smart Phone. Gli algoritmi di controllo possono essere ricondotti a tre modelli: Proportional Integral Derivative (PID), Model Predictive Control (MPC) e Fuzzy Logic. Gli algoritmi PID calcolano le dosi di insulina prendendo in considerazione: 1) la differenza tra valore di glucosio misurato e valore target (componente proporzionale); 2) la differenza tra l’area sotto la curva del valore di glucosio misurato e di quello target (componente integrale); e 3) la velocità istantanea di variazione del glucosio (componente derivativa). Gli algoritmi MPC modulano il rilascio di insulina per minimizzare la differenza tra la previsione futura della glicemia e il target in un determinato orizzonte temporale. Gli algoritmi Fuzzy Logic, infine, rispondono alle variazioni della glicemia seguendo regole ispirate al modo di agire di un diabetologo esperto [7].

Tabella 1 Confronto tra i sistemi HCL attualmente disponibili in commercio. PID, Proportional Integral Derivative; MPC, Model Predictive Control; DTG, Dose Totale Giornaliera di insulina; RIC, Rapporto Insulina Carboidrati; FSI, Fattore di Sensibilità Insulinica; CHO, carboidrati

In uno studio multicentrico della durata di 6 mesi condotto su 168 pazienti di età compresa fra 14 e 71 anni, l’uso di un sistema HCL è risultato associato all’aumento (+11%) del tempo nel range di glucosio 70–180 mg/dl (TIR) e alla riduzione del tempo trascorso in ipoglicemia (−0,88%) e della HbA1c (−0,33%) rispetto a un sistema senza algoritmo [8]. Più recentemente, 82 adulti utilizzatori di CGM in terapia MDI sono stati randomizzati a passare a HCL (gruppo HCL) o a continuare con lo stesso regime di trattamento (gruppo di controllo) per 6 mesi. Al termine dello studio, nel gruppo HCL sono stati osservati una riduzione della HbA1c (−1,42%) e un aumento del TIR (+27,6%) rispetto al gruppo di controllo, senza differenze nel tempo trascorso in ipoglicemia [9]. Metanalisi pubblicate negli ultimi cinque anni sono concordi nell’affermare che l’uso dei sistemi HCL riduce la glicemia media, aumenta il TIR e riduce il tempo trascorso in ipoglicemia [10, 11]. È stato inoltre osservato il miglioramento della qualità di vita e della paura delle ipoglicemie [12]. Alla luce di questi risultati, le recenti linee guida dell’American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) raccomandano l’uso dei sistemi ad ansa chiusa in tutti i pazienti con DMT1, in particolare quelli con controllo glicemico inadeguato, significativa variabilità glicemica, alterata consapevolezza dell’ipoglicemia o paura delle ipoglicemie [13].

La formazione del paziente

Affinché i benefici documentati negli studi clinici possano essere trasferiti nella pratica clinica reale, è essenziale che il paziente sia adeguatamente formato dal team diabetologico all’utilizzo dei diversi componenti del sistema. In una prima fase del percorso educativo, è utile che il microinfusore e il sensore siano configurati “in aperto” (algoritmo non attivo) per consentire al paziente di acquisire la manualità richiesta per il corretto funzionamento della pompa e i principi generali del CGM. Successivamente, l’algoritmo può essere attivato e configurato. Dal momento che il funzionamento dell’algoritmo di controllo è differente nei diversi sistemi disponibili in commercio, la formazione del paziente dev’essere mirata sul modello di HCL prescelto. Inoltre, alcune regole generali di gestione della terapia insulinica cambiano quando si passa a un sistema ad ansa chiusa, richiedendo un supplemento di formazione [14]. Aspetti cui prestare particolare attenzione nella formazione del paziente utilizzatore di sistemi HCL sono: accuratezza del conteggio dei carboidrati, tempistica di erogazione dei boli pasto, gestione delle ipoglicemie, gestione delle iperglicemie e gestione dei pasti complessi, ovvero a prevalente contenuto di carboidrati ma con quote non trascurabili di grassi e proteine.

Conteggio dei carboidrati

Calcolare in modo accurato i carboidrati dei pasti, che l’utilizzatore deve inserire nel microinfusore per ottenere un suggerimento di bolo, mette l’algoritmo in condizioni di lavorare al meglio, riducendo le escursioni glicemiche post-prandiali e il rischio d’ipoglicemia [15]. Per fare una stima adeguata dei carboidrati del pasto, i pazienti devono essere incoraggiati a determinare accuratamente le porzioni degli alimenti che intendono consumare, servendosi inizialmente della bilancia pesa alimenti e in un secondo momento delle cosiddette “misure casalinghe” (mestolo, tazza, piatto, ecc.). Inoltre, per ricavare le informazioni sulla composizione degli alimenti, dovrebbero consultare solo fonti affidabili quali etichette nutrizionali (nel caso di utilizzo di prodotti commerciali), banche dati accreditate disponibili sul web (es. Tabelle di composizione degli alimenti pubblicati dal Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione CREA), o atlanti fotografici (anche sotto forma di App per Smart Phone, utili soprattutto quando si consuma un pasto fuori casa).

Tempistica di erogazione del bolo pasto

Per garantire un migliore controllo della glicemia postprandiale è indispensabile che il paziente annunci i carboidrati che intende consumare almeno 10–15 min prima di iniziare a mangiare, per favorire l’allineamento dei tempi di assorbimento del glucosio e quelli di rilascio dell’insulina esogena nel torrente circolatorio [15]. Nel caso in cui il paziente inserisse i carboidrati dopo l’inizio del pasto, l’erogazione del bolo avverrebbe in ritardo e il rialzo glicemico indotto dal pasto evocherebbe l’aumento automatico dell’erogazione della basale e, in alcuni casi, potrebbe indurre anche il rilascio di boli correttivi. Tale quota insulinica, sommandosi con il bolo pasto rilasciato in ritardo, potrebbe causare un eccessivo accumulo di insulina in circolo con aumento del rischio di ipoglicemia [15]. Il rischio d’ipoglicemia aumenta man mano che aumenta l’intervallo di tempo intercorso tra l’inizio del pasto e l’effettiva erogazione del bolo [16]. Il paziente deve essere dunque incoraggiato a rispettare in tutti i casi la giusta tempistica di erogazione del bolo pasto. Nelle situazioni in cui questo non è possibile, si può procedere in due modi: se il tempo trascorso dall’inizio del pasto è compreso tra 30 e 60 minuti, annunciare solo la metà dei carboidrati effettivamente assunti; se invece è superiore ai 60 minuti, avviare un bolo di correzione attraverso il calcolatore di bolo integrato nel microinfusore [17].

Gestione delle ipoglicemie

In caso di ipoglicemia, gli utilizzatori dei sistemi HCL necessitano di una quota inferiore di zuccheri rispetto ai canonici 15 g della “regola del 15”: è sufficiente, infatti, intervenire solo con 5–10 g, dal momento che l’algoritmo risponde all’abbassamento della glicemia riducendo l’erogazione della basale fino alla sua completa sospensione [17]. Nel caso in cui il paziente assuma quantità di carboidrati semplici superiori rispetto a quelle consigliate, il conseguente aumento eccessivo della glicemia potrebbe indurre una risposta vigorosa dell’algoritmo, causando una nuova ipoglicemia. Per trattare le ipoglicemie, le persone con diabete che utilizzano un sistema HCL possono, quindi, utilizzare 1–2 bustine di zucchero da tavola, 1–2 cucchiaini di zucchero da tavola, 10 g di miele o uno degli integratori alimentari presenti in commercio, composti da un singolo tipo di zucchero o da miscele di zuccheri a rapido assorbimento (glucosio, saccarosio, isomaltolo).

Gestione delle iperglicemie

In caso di iperglicemia, l’algoritmo interviene automaticamente aumentando l’erogazione della basale e, eventualmente, somministrando boli correttivi senza bisogno di conferma da parte dell’utilizzatore, tenendo in considerazione l’insulina ancora attiva. Come regola generale, è consigliabile che il paziente lasci agire il proprio sistema, attendendo che corregga l’iperglicemia. Per far sì che la glicemia rientri più rapidamente nel range desiderato, alcuni pazienti scelgono di comunicare al sistema quote di carboidrati che in realtà non hanno assunto (i cosiddetti fake carbs o phantoms carbs), forzandolo in questo modo a erogare dosi aggiuntive di insulina. È preferibile però evitare questo stratagemma, in quanto potrebbe causare accumulo di insulina in circolo e quindi un’ipoglicemia.

In caso di persistenza di elevati valori glicemici, si raccomanda di misurare la glicemia con un glucometro, di monitorare i livelli di chetoni e, eventualmente, di eseguire un cambio del set di infusione del microinfusore. Potrebbe inoltre essere necessario che il paziente avvii un bolo di correzione. La dose di correzione potrebbe essere più efficace se somministrata con una penna per insulina, poiché in caso di problemi con il set di infusione e diversi tentativi di correzione, l’insulina attiva elevata potrebbe impedire la somministrazione di un ulteriore bolo di correzione attraverso il microinfusore. In questi casi il paziente dovrà servirsi delle comuni regole per il calcolo del bolo di correzione, utilizzando il suo fattore di sensibilità insulinica (FSI). Nel caso in cui il paziente si trovi a somministrare una dose di correzione con la penna, è opportuno che disattivi l’algoritmo per 2–4 ore affinché il sistema torni a calcolare in modo accurato l’insulina attiva [17].

Gestione dei pasti complessi

Per quanto riguarda la gestione dei pasti particolarmente ricchi in lipidi e proteine, che possono essere responsabili di rialzi della glicemia a distanza anche di 3–8 ore dall’assunzione, è opportuno ricordare che la maggior parte dei sistemi ibridi in commercio non consente la somministrazione di boli estesi. Tuttavia, è atteso che la modulazione della somministrazione di insulina da parte dell’algoritmo possa limitare l’aumento glicemico tardivo dovuto a grassi e proteine. In alternativa, per far fronte al maggior fabbisogno di insulina per il pasto, Aleppo e collaboratori suggeriscono di aumentare del 30% i carboidrati da inserire nel microinfusore e suddividerli in due parti, una prima quota, pari al 30–40% del totale, prima di iniziare il pasto e il restante 60–70% a fine pasto [18].

Conclusione e prospettive

CGM e CSII rappresentano oggigiorno la modalità più efficace per il trattamento del DM1.

L’integrazione delle due tecnologie ha aperto la strada dell’automazione della somministrazione dell’insulina. Sebbene lo sviluppo del pancreas artificiale completo sia per il momento frenato dalle caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche degli analoghi rapidi dell’insulina attualmente disponibili e dall’accuratezza non ancora ottimale dei sensori durante l’esercizio fisico e per valori estremi di glicemia, già da alcuni anni sono disponibili sistemi parzialmente automatizzati, con chiari benefici su controllo glicemico, rischio d’ipoglicemia e qualità di vita. Un’adeguata formazione del team diabetologico e del paziente resta comunque indispensabile per raggiungere e mantenere gli obiettivi di cura del diabete.